in fondo fai bene, alla fine, ad avercela così con noi

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Struggente lo è di certo, geniale pure. Anche un po’ prolissa e molto autocelebrativa, come non potrebbe essere altrimenti un’autobiografia. In una società che stava cambiando, in cui non era ancora stato detto tutto, in cui qualche centimetro quadro di originalità stretto tra il mercato e le bolle in cui soffiavano tutti, in USA, a fine anni 90, poteva essere ancora colonizzato e il tragico vissuto individuale poteva ancora generare e costruire, prima del giro di boa, momento da cui in poi la complessità ha iniziato a trovare sfogo solo nella de-costruzione, se non distruzione tout court, talvolta con l’ausilio di armi da fuoco, molto più spesso con MTV. Prima che tutti dicessero tutto, e lo pubblicizzassero anche nei socialcosi intasando l’immaginario collettivo, riempiendo un sistema da cui ininterrottamente esondano parole e foto e filmini che vanno ad infiltrarsi nell’intonaco e nelle fondamenta, indebolendo il terreno sotto tanto che prima o poi questo enorme palazzone in cui abitiamo abusivamente – o meno – tutti franerà a valle e chissà, ci sarà di nuovo qualche posto libero in nuove aree edificabili. Ma, allora, il tragico vissuto poteva ancora fare di un individuo un genio, la sofferenza è brodo di cultura di germi vitali che taluni chiamano idee, e poteva fare di un genio una sorta di eroe, che prende sulle spalle un fratello minore che è più un figlio, nel suo essere bambino anche lui geniale e struggente in potenza, tanto che lentamente supera in statura il geniale e struggente fratello maggiore protagonista. Eggers così rincorre fresbee da acchiappare al volo sotto gli occhi di spettatori sbalorditi, rincorre le ceneri dei genitori mai restituite e risale, a ritroso, il male che da una parte ha privato sé e il fratello Toph del punto di vista di entrambi genitori, la madre soprattutto, che hanno assistito fino all’ultimo respiro. Questo è l’unico bagaglio che lo porta via e lo allontana dalla quotidianità; il mondo, anzi quel mondo, quello di allora, diventa così un catalizzatore di stimoli, una gigantesca periferica che spara input a raffica, basta saperli cogliere. Ed è sufficiente scegliere il più appropriato, ieri per esempio era un magazine culturale, pagine bianche su cui stampare e sviluppare l’ultima dannata reazione artistica e culturale per l’ultimo cambiamento disponibile. Poi i giochi sono fatti, mi spiace per noi, lo spazio non è più sufficiente. Al massimo si può provare a svuotare il cestino.

non fa testo

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Per esempio, ora sto buttando giù questo articolo non nella caotica redazione di un giornale, ma in un capanno nel mio giardino. La finestra del capanno è coperta da un telo, perché altrimenti la mattina sarei abbagliato dal sole. Quindi ho davanti a me questo telo grigio, che è inchiodato alla parete in due punti e pende al centro in un grande sorriso grigio.

Il telo è sporco. E il capanno è sporco. Se lasciassi vuoto questo posto per una settimana, finirebbe per diventare un rifugio per gli animali del bosco. Ma probabilmente lo pulirebbero, prima. Ed è qui che passo sette-otto ore di fila al giorno. Sette-otto ore ogni volta che cerco di scrivere. La maggior parte di questo tempo lo passo immobile, in una situazione di stallo, quindi dopo sette-otto ore passate a fare finta di scrivere – seduto nella posizione giusta davanti allo schermo – ho lavorato davvero per un’ora. È un rapporto terribilmente sproporzionato e irragionevole.

Questo tipo di vita è in contrasto con la visione romantica che avevo un tempo – e che molti hanno – della vita dello scrittore. Immaginiamo più movimento. Immaginiamo una vita a cavallo. A dorso di cammello? Immaginiamo decappottabili, scogliere battute dal vento, fari. Non immaginiamo – o io non immaginavo – di dover passare tanto tempo seduti. Forse sembrerò ingenuo se dico che mi aspettavo di scrivere, che so, sciando. La natura profondamente sedentaria di questo lavoro mi pesa tutti i giorni. Mi pesa anche in questo momento. E così ogni tanto devo uscire dal capanno.

Dave Eggers e la scrittura, un articolo tradotto sul numero in edicola dell’Internazionale, il tutto disponibile qui.

in viaggio con papà e mamma

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Le grandi domande. Dopo Hereafter,  “c’è vita dopo la morte”, ecco un altro film a cinque stelle, Away we go di Sam Mendes, scritto da Dave Eggers. Qui la grande domanda è “c’è coppia dopo il concepimento”? Due over-30 vanno alla ricerca del posto ideale, tra alcune opzioni in USA e Canada, in cui metter le radici e far nascere la loro figlia. Un coppia “perfetta”: Verona e Bart sono soprendentemente normali ma intelligenti, giovani adulti all’americana (non adolescenti irrisolti all’italiana) e middle-class. I due, non sposati e che probabilmente mai lo saranno (Bart le fa almeno 4 proposte di matrimonio in 90′), una volta assodata la  gravidanza fanno convergere il loro baricentro, singolo e comune, verso quella vita che sta crescendo nella pancia di lei (anzi, di loro) e partono. Ogni tappa del loro viaggio coincide con un’occasione di incontro con una diversa coppia di amici, parenti o ex-colleghi. Incontri che mettono a nudo problemi tipici della coppia quando diventa famiglia: i genitori di lui, americani di mezza età che si danno alla fuga nel momento in cui, da nonni, potrebbero essere ancora utili. Quindi la coppia che non ha mai modificato il proprio stile di vita, lasciando allo sbando i due figli preadolescenti. La coppia new age e fricchettona che mette al bando la tecnologia e fa l’amore con i figli nel letto. La famiglia numerosa di soli figli adottivi e la incompletezza in cui si sono risolti i genitori che non sono riusciti ad averne uno proprio. La coppia che si separa e la consapevolezza del padre che, rimasto con la figlia piccola, si rammarica di dover far crescere una bambina che sarà sempre marchiata figlia di divorziati. Verona e Bart man mano capitalizzano ogni singola esperienza tra le cose da non fare e provano a dare risposte alle domande che ogni stereotipo, dipinto sempre con ironia e intelligenza, fa sorgere. Il viaggio si chiude così nella destinazione naturale, quando Verona e Burt hanno consolidato la consapevolezza di vivere una fase che  sarà la più densa della loro vita. Da sottolineare il cameo dell’aeroporto e quello dell’incontro con la iper-mamma con figlio saccente.

p.s. leggo che si tratta di un film low-budget
p.s. la colonna sonora comprende Golden Brown degli Stranglers, così sembra dai titoli di coda, ma non ricordo di averla senita. Mi date un aiutino?