non fa testo

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Per esempio, ora sto buttando giù questo articolo non nella caotica redazione di un giornale, ma in un capanno nel mio giardino. La finestra del capanno è coperta da un telo, perché altrimenti la mattina sarei abbagliato dal sole. Quindi ho davanti a me questo telo grigio, che è inchiodato alla parete in due punti e pende al centro in un grande sorriso grigio.

Il telo è sporco. E il capanno è sporco. Se lasciassi vuoto questo posto per una settimana, finirebbe per diventare un rifugio per gli animali del bosco. Ma probabilmente lo pulirebbero, prima. Ed è qui che passo sette-otto ore di fila al giorno. Sette-otto ore ogni volta che cerco di scrivere. La maggior parte di questo tempo lo passo immobile, in una situazione di stallo, quindi dopo sette-otto ore passate a fare finta di scrivere – seduto nella posizione giusta davanti allo schermo – ho lavorato davvero per un’ora. È un rapporto terribilmente sproporzionato e irragionevole.

Questo tipo di vita è in contrasto con la visione romantica che avevo un tempo – e che molti hanno – della vita dello scrittore. Immaginiamo più movimento. Immaginiamo una vita a cavallo. A dorso di cammello? Immaginiamo decappottabili, scogliere battute dal vento, fari. Non immaginiamo – o io non immaginavo – di dover passare tanto tempo seduti. Forse sembrerò ingenuo se dico che mi aspettavo di scrivere, che so, sciando. La natura profondamente sedentaria di questo lavoro mi pesa tutti i giorni. Mi pesa anche in questo momento. E così ogni tanto devo uscire dal capanno.

Dave Eggers e la scrittura, un articolo tradotto sul numero in edicola dell’Internazionale, il tutto disponibile qui.

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