la scelta di sofà

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Da bambino era una zattera su cui mettere in salvo il minimo indispensabile e la sala era una palude tipo le Everglades di cui conosceva l’esistenza da quell’episodio della “Storia e gloria della dinastia dei paperi”, quindi un ambiente ostile con tanto di coccodrilli che non avevano pietà né delle pantofole tantomeno dei fumetti o della focaccia di merenda. Così teneva tutto a bordo e si lasciava cullare da quel poco di moto ondulatorio che una palude così popolata da sedie, tavolo, poltrone e mobile tv può trasmettere lungo la superficie dell’acqua.

Dopo tanto tempo poi ha avuto la possibilità di dotarsi di una imbarcazione da casa tutta sua, da tenere in un rimessaggio simile a quello della palude che c’era nella casa dei suoi genitori. E la scelta non era facile, perché si trattava di decidere uno degli elementi chiave dell’arredamento intorno al quale spesso ruota la vita quotidiana di tutto l’equipaggio. Quindi intanto doveva essere sufficientemente ampia, almeno un cabinato da tre posti abbondanti con un pontile da due metri e mezzo. Poi doveva integrarsi alla perfezione nell’ambiente sia nella forma che nei colori, quindi design moderno e tessuto tra il color corda e il marrone scuro. E avrebbe dovuto anche essere accessibile economicamente. Alla fine, dopo qualche mese di ricerca, aveva trovato quella giusta, ritenuta perfetta anche dai suoi nuovi compagni di viaggio e con qualche rata era riuscito a farla propria.

Ora quella nuova zattera, che è un divano che tutti dicono assomigliare più a una chiatta, veleggia nel centro di un nuovo specchio d’acqua fatto di piastrellone di marmo beige che sono un po’ la morte dei sensi e che vorrebbe tanto sostituire con il parquet. Ci stanno comodamente in tre sopra, ciascuno con i propri passatempi preferiti. Libri, pc portatile, lettore mp3. Si sono portati persino due gatti che sonnecchiano durante la silenziosa traversata che partendo dalla mattina arriva fino alla sera, nei giorni in cui finalmente non c’è nulla da fare, se non fingere di essere soli e sperduti in casa, senza bisogno di nient’altro.

non è un albergo

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A volte, mentre siamo a tavola e ci diamo dentro con la nostra colazione dei giorni di festa, o quando siamo felicemente immersi ognuno nelle proprie attività o passatempi preferiti. Oppure non stiamo facendo non solo nulla di tutto questo, ma proprio nulla, un nulla tendente al pisolino, semplicemente stiamo insieme perché è un giorno in cui non si lavora. Quei rari momenti in cui ci si può godere casa propria, con la luce del giorno a cui davvero non siamo abituati; anche se è inverno e fuori è nuvoloso, oppure in estate con le veneziane giù a delimitare il balcone. Sono momenti in cui mia moglie ed io ci chiediamo come fanno quelli che hanno una seconda casa, i forzati della gita del weekend e dell’andare da qualche parte. Si sa, qui non è che ci sia tutta questa scelta di posti gradevoli, fresche frasche o scorci sul mare o borghi misteriosi. Non siamo nemmeno abbastanza ricchi da poterci permettere un appartamento al mare o una cascina in collina.

Ma trascorrendo la maggior parte del tempo fuori casa durante la settimana, e considerando che la finestra tra il rientro serale e il coricarsi è quella che è ed è un susseguirsi di cose da fare, sempre le stesse, non mi vergogno a confessare che la meta preferita delle nostre gite del weekend è qui, tra le mura di casa. Cucinare con calma, godersi la lettura sul divano, le camere da letto che intravediamo sempre solo al buio del mattino, quando suona la sveglia. Per non parlare di tutto ciò che rimane in sospeso dalla settimana appena terminata, fa piacere persino dedicarsi alla cura domestica. Al diavolo i ristoranti e le merende e le scampagnate.

Quello che è più incredibile è che nostra figlia è la più casalinga di tutti. Vi assicuro che non c’è il nostro zampino: anzi, siamo sempre pronti a proporre attività, spettacoli teatrali, cose da fare all’aperto. Ma, a meno di non dover litigare o imporre il nostro volere, anche lei che, al sabato, giunge reduce da cinque giorni di scuola più lo sport e le ore al parchetto con le amiche, non c’è niente di meglio che giocare, con noi o da sola o con il vicino di casa o l’amica del cuore. Ma nella sua cameretta. Per cui ci chiudiamo abbastanza spesso qui, a esplorare angoli che magari ci siamo dimenticati, scoprire libri o riviste che non ricordavamo di avere, gli album di foto, il giradischi che va senza sosta. Poi qualche telefonata, vado a fare rifornimento d’acqua ma ci vuole nemmeno un quarto d’ora. Arriva la compagna di classe di nostra figlia, poi scendono gli amici dal quinto piano o saliamo noi da loro. A volte ci chiediamo se ci sia qualcosa di male nel non provare il minimo senso di colpa per non aver fatto niente, ma sappiamo che niente non è. Gli spazi in cui viviamo sono parte di noi stessi, ci sono le nostre impronte, l’aria che espiriamo, le nostre ombre, i nostri suoni e gli odori di cui si impregnano i tessuti. Stare in casa è fare un viaggio dentro noi stessi, misurare le nostre vite con il metodo che conosciamo meglio ma che ci viene continuamente tolto, che è il riposo.