errata corrige

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Fate così: entrate in una libreria, una qualunque, e guardatevi intorno. Tutti quei libri più o meno ordinati e impilati su scaffali, anche il tavolo delle novità e i tavoli tematici, tutti quei volumi (o quasi) sono pieni di drammi familiari. In ognuna di quelle storie – mi riferisco alla narrativa, of course, ma non è detto – ci sono uno o più eventi tragici, o folli, o semplicemente significativi, che hanno come protagonisti una coppia di genitori e i loro figli, e questi ultimi ne pagheranno le conseguenze, belle o brutte e più o meno determinanti nell’economia della trama, per il resto della loro vita. Anche oltre l’ultima pagina e la quarta di copertina, genitori che a loro volta sono stati figli di genitori che a loro volta sono stati figli di genitori e così via, dalla notte dei tempi in sæcula sæculorum. Amen. Questo naturalmente perchè ciascuno di noi, nel suo quotidiano, è la somma del vissuto della sua famiglia. Che poi, la cosa paradossale, è che si tratta solo di poco tempo, diciamo un quinto della propria esistenza, se paragonato alla vita intera, quello trascorso con i genitori, dalla nascita all’emancipazione, un imprinting così caratterizzato dalla loro presenza, o al contrario dalla loro assenza, che ciascuno si porta dentro. Eppure così decisivo. E si pensa pure di essere in grado di riciclarlo quando, a nostra volta, vogliamo emulare mamma e papà come pedagogisti, anche quando ci impegniamo a comportarci all’opposto. Genitori che ci sono stati troppo, o che sono mancati creando voragini sotto. Ciascuno di noi, provate a guardarvi dentro, si porta appresso questa scatola nera con tutte le esperienze fatte nei primi venti o poco meno anni della sua vita, tutti i dialoghi registrati, tutti i gesti fatti o lo spazio vuoto per quelli mancanti, tutti i no che aiutano a crescere e tutti i si che danno un più uno in sicurezza. Se ti hanno voluto bene da piccolo avrai solo le cose principali, il superfluo resta un po’ nella memoria da rileggere prima di addormentarsi. Se non ti hanno voluto bene, anche inconsapevolmente, perché magari pensavano che è così che ci si ama, tra moglie e marito e verso i figli, la scatola ha qualche lacuna, e la vita è un continuo cercare di colmarla, ci sono i tuoi figli o i tuoi cani da portare al parco la mattina presto, fumando una sigaretta e controllando i messaggi sul cellulare, o le tue storie d’amore risolte o meno, quelle di cui i messaggi in arrivo ti fanno un resoconto. La scatola nera ce l’hanno tutti, il più pulito e il più fragile essere umano. Magari hai avuto genitori distratti, o troppo impegnati, o troppo semplici rispetto alle complessità, ogni vita ha le sue, è tutto un divenire, mancano i corsi di aggiornamento, nessuno è sufficientemente titolato. Poi, chiaro, ciascuno di noi ci ha messo del suo a rendere difficile il compito di quei due vecchietti, ma la famiglia di qualunque tipo e dimensione non è un’azienda, non è una squadra di calcio, non è un albergo e nemmeno una palestra o tantomeno un videogame. Ecco, forse è un laboratorio, dove un team dedicato alla ricerca e sviluppo si adopera per implementare uno o più sistemi di automazione non prima di aver completato tutta la fase di test e di debug. Senza progetto pilota, però.

0 pensieri su “errata corrige

  1. Ho capito i miei genitori solo dopo esserlo diventato anch’io. Ma non sono ancora sicuro della differenza fra “volere bene” o “non volere bene”.

  2. @disagiato e speakermuto: grazie.
    @tyler: è successo anche a me, appena è nata mia figlia. Pensavo che essere genitore fosse il modo più efficace per restituire quanto mia mamma e mio papà avevano fatto per me. Poi, ho iniziato a capire di più, e ho messo in dubbio molte cose. Fino alla stessa conclusione a cui sei giunto tu.

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