cento di questi giorni

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La fontana dista qualche erta più in alto, nel prato dietro la cascina disabitata che è l’ultima prima dell’inizio del bosco. L’acqua è freddissima anche in estate, nasce chissà dove sul monte, quasi tutte le case hanno la propria sorgente destinata anche all’irrigazione degli orti mentre dentro gli impianti domestici sono riforniti dall’acquedotto comunale. Abbiamo bevuto fino a non poterne più, poi ci siamo sciacquati la faccia con le mani a coppa e senza asciugarci ci siamo lanciati di corsa giù per la collina per godere del vento di quel mattino di fine agosto sulla pelle, mentre il sole è ancora quello della stessa estate e ti scalda la testa fino a farti profumare il cuoio capelluto in quel modo che succede solo ai bambini. La nostra casa da lassù sembra chiamarci con la finestra del fienile che dà verso noi, entro un paio di settimane le chiuderemo gli occhi e la bocca con gli scuri e torneremo in città dove l’effetto benefico delle vacanze in campagna si sarà stemperato tra l’odore dei libri scolastici e della cancelleria nuova, tutto disposto sul tavolo e pronto per essere messo in cartella. L’inchiostro delle pagine stampate, la plastica delle copertine colorate per i quaderni e le gomme perfettamente squadrate che fanno venire voglia di prenderle a morsi. Tutto ancora così distante. Ma questa mattina ci ha svegliato il rumore di una motocicletta da cross lanciata a tutta velocità lungo la salita sterrata che passa proprio dietro casa, una sorta di anticipazione di quello a cui saremo esposti da lì a poco al rientro nelle nostre camere sulle vie del centro. E ce lo siamo confessato, come se si trattasse di una paura. Che spavento. Stamattina stavo sognando che l’estate era già finita.

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