A quelli della mia generazione che hanno solo la terza media – oggi non sarebbe più ammissibile – invidio il fatto di non avere gli strumenti per provare la sensazione degli incubi sugli anni del liceo e sull’esame di maturità. La mia esperienza più recente risale a un paio di notti fa. Nonostante fossi piombato in classe da un’altra scuola – se non da un’altra vita – la prof di matematica pretendeva, già a partire dal primo giorno, che fossi allineato sul programma (alla faccia dell’inclusione) mettendomi alla prova con un astruso problema di geometria. C’era quel triangolino rettangolo che fuoriesce come uno scampolo di stoffa ai lati del trapezio isoscele, avete presente? Io sapevo benissimo come calcolare la misura della base ma il punto non era quello perché il teorema di Pitagora negli incubi e con la realtà sottosopra non dimostrava un bel niente. C’erano altre cose di cui tener conto che a scuola, almeno in quella che conosco io, nessuno te le insegna. Occorreva infatti tirare in balli vari i fattori economici e sociali per trovare una soluzione e la cosa mi ha mandato in confusione, proprio come accadeva allora. Il mio compagno preferito era invece in carne e ossa, o almeno quello che mi ricordo di lui, tutto vestito di rosso come il pesce che sfoggia nella foto del suo profilo Facebook, ma nessuno – tantomeno lui – sembrava in grado di potermi aiutare. In classe, nel nostro banco vero o onirico che sia, siamo tutti soli al cospetto della valutazione. Poco prima avevo addirittura trascorso un’intera ora angosciato del fatto di non aver studiato anche se, quando ti trasferisci ed è il primo giorno, i docenti sono tenuti a essere più indulgenti. Il senso del tempo, a scuola, è distorto, ma questo anche nella vita vera. Per i docenti vola in un attimo, per i ragazzi dev’essere un incubo. Le ore di matematica non finiscono mai.