cool and the gang

Standard


Foto su Il post.

falce e pacchetto

Standard

Non so voi, ma noi strenui sostenitori e finanziatori della Grande Distribuzione Organizzata Comunista, il cui acronimo da sempre è Coop, non abbiamo ancora mandato giù il colpo basso inferto dal nostro principale competitor, quello che si pronuncia con una consonante lunga lunga e che ci accusa di mettere in commercio bambini e preti per darli in pasto con le sembianze di salamelle agli elettori di Bersani e non durante le nostre feste popolari. Sì, quello di falce e carrello. Una mossa tattica che ha visto l’alleanza in salsa anticomunista tra il noto supermercato e la principale potenza imperialista del disegno animato, player uniti nell’intento di spingere i più piccoli a bramare acriticamente le ormai diffusissime figurine Disney Pixar e a far cambiare le abitudini di acquisto dei loro genitori. Perché far la spesa alla Coop o al Carrefour quando Caprotti ti regala una bustina di fantasia 3D ogni 10 euro di merce nel carrello? Una umiliazione ancora più forte della precedente trovata, quando cioè il noto brand dai mattoni rossi assunse part-time una cantante piuttosto talentuosa per poi farle vincere un celebre reality musicale ottenendo un sostanziale aumento degli introiti grazie all’indotto pubblicitario. Alla Coop sarebbe riuscita una analoga operazione con Nina Zilli? Non credo.

Ma torniamo alle figurine. I creativi rossi, co-finanziati dal PCUS, sono al lavoro per allestire una contro-campagna competitiva e vincente. Secondo voci di corridoio, sta per essere lanciata una iniziativa simile che vedrà protagoniste alcune serie di cartoon alternativi alle multinazionali dell’entertainment. La campagna consisterà nella distribuzione di carte dei personaggi tratti dai film dello Studio Ghibli, di Bozzetto, di Ocelot, di Goscinny e Uderzo, di Sylvain Chomet, di Enzo D’Alò. Per non parlare dei cartoni della Hungaro Film con Gustavo, la Talpa, la Famiglia Mezil e tutti gli altri eroi del socialismo reale e animato e dei programmi di una volta di Telecapodistria. Le figurine saranno stampate rigorosamente in bianco e nero, e potranno essere raccolte nell’Album Rosso. Al posto delle qualità tipiche del capitalismo, quali Forza, Intelligenza, Simpatia e Gentilezza, ogni carta avrà un punteggio di Senso Civico, Partecipazione alla vita pubblica, Informazione Politica e Livello di consenso. Al monopolio delle favole imperialiste la Coop così risponderà con un po’ di sano divertimento internazionalista.

non mandare in fumo il tuo voto

Standard

Mi eri già simpatico prima, perché tutte le volte che ho comprato i biglietti per i concerti presso la rivendita Ticket One che hai nella tua tabaccheria non mi hai mai risparmiato qualche battuta sui gruppi a te sconosciuti che andavo a sentire, ricordandoti a distanza di mesi questa o quell’altra band dal nome improbabile, dimostrandoti a tuo modo esperto di “customer care relationship”. Ma hai anche la faccia simpatica, e so che avere un bar tabacchi in centro a Milano non dev’essere facile. Ci sono tuoi colleghi che, altrove, rincorrono malviventi per più isolati e gli sparano. A rapine da far west rispondono con inseguimenti da far west, per poi diventare icone dei movimenti per la giustizia fai-da-te.

E ieri, passando davanti al tuo esercizio, in via Fiamma, ho notato una bicicletta, tutta dipinta di azzurro, con una bandierina che svettava sul manubrio. E su quella bandierina c’era il logo del PD. E a fianco del logo del PD la tua foto. Che non ho riconosciuto subito: mentre passavo di lì, hai colto la mia espressione incuriosita, forse mi hai riconosciuto tra i tuoi clienti più indie-rocker, eri fuori e mi hai confermato “sì, sono proprio io”. Un tabaccaio del PD, un commerciante del PD. Ho deciso allora che ti avrei fatto un po’ di pubblicità, per quanto possa esserti di aiuto in questo umile spazio.

Purtroppo non sono residente a Milano e non posso votarti, ma spero che qualche elettore della zona, indeciso o no, legga questo post, capisca che sto parlando di te, tabaccaio che vendi anche i biglietti di concerti indie-menticabili, e dia il suo voto a te e a Pisapia. Ecco il nome di chi voterei, se vivessi nella zona in cui lavoro: Francesco Fasulo, il tabaccaio di via Fiamma che usa una bici tutta azzurra per fare campagna elettorale. Evviva i commercianti del PD. Evviva Francesco Fasulo. Votatelo.

flash mob: quando il brand fa storia

Standard

La nota marca di dispositivi di memoria collettiva ANPI® ha messo a segno ancora una volta il più imponente Flash Mob dell’anno. Milioni di persone di tutte le età, una massa eterogenea di donne, uomini e bambini si è data appuntamento in ogni città d’Italia e in ore diverse del giorno per cantare “Bella ciao”, da sempre il jingle di chi odia i simboli oppressivi e resiste contro la moda della dittatura del nero sulla libertà policromatica, come il tricolore, l’accostamento che mai come quest’anno ha fatto tendenza.

L’iniziativa si è contraddistinta anche dall’impiego di numerose bandiere arcobaleno e di tutte le nuance del rosso, suscitando una forte curiosità da parte degli spettatori, la maggior parte dei quali, ignari del motivo che ha riunito i mobbers, se già lamentavano le condizioni metereologiche poco adatte alla tradizionale gita fuori porta di pasquetta hanno così trovato una valida alternativa alla consueta visita al centro commerciale. Una vera e propria liberazione dalla comunicazione tradizionale e dai rigurgiti reazionari.

In un comunicato stampa, i più informati tra gli organizzatori hanno riferito che la prima mobilitazione di questo genere è avvenuta lo stesso giorno, il 25 aprile, di 66 anni fa, a dimostrazione che intervenire in massa porta sempre al successo. La parola d’ordine che fece partire quel primo esperimento di guerrilla marketing ante litteram fu un ermetico e virale messaggio alla radio: “Aldo dice ventisei per uno”. L’appuntamento è per l’anno prossimo ancora con il brand di chi resiste: ANPI®, dal 1945 la memoria che non si esaurisce mai.

fedeli alle linee

Standard

Questa volta però vince Zamboni, almeno a detta de La Stampa.

Da allora le strade di Ferretti e Zamboni non si sono più incrociate, e la crepa da artistica si è fatta personale, anche se poco tempo fa i due si sono riparlati: niente più musica insieme all’orizzonte, giusto un colloquio amichevole. Tant’è vero che Ferretti lo scorso febbraio è ripartito in tour accompagnato da due ex Ustmamò, uno dei gruppi del Consorzio, annunciando che avrebbe riproposto un excursus completo della sua carriera. L’attesa era grande e l’Estragon di Bologna strapieno per la data d’esordio, con la gente impaziente di risentire Emilia paranoica o Curami: Giovanni Lindo invece, ieratico e post-rock come siamo abituati a vederlo da anni, ha distillato un concerto molto acustico e d’atmosfera annegando i rari pezzi della sua prima formazione come Annarella, in uno spettacolo dai tempi dilatati. Un effetto straniante; per chi invece ha seguito il percorso di Ferretti in questi anni, da punk alienato a una sorta di monaco sceso dal suo Appennino, nessuna sorpresa.

Tutt’altra storia il tour di Massimo Zamboni, esplicito fin dal titolo nel rendere omaggio al suo passato: Solo una terapia – dai Cccp all’estinzione, sta scritto sui manifesti, e i concerti mantengono la parola con una lunga serie di canzoni tratte dai dischi dell’ex band filosovietica, come s’è visto all’Off di Modena. Per sostituire l’insostituibile Ferretti Zamboni ha pensato bene di chiamare sul palco Angela Baraldi, già vocalist di Lucio Dalla, protagonista della scena musicale bolognese e attrice in Quo vadis baby, film e serie tv. Sintonizzata di suo con certo spirito dark di trent’anni fa, la cantante interpreta i classici dei Cccp urlandone la rabbia sui timbri più bassi che le sono propri, ma con buona efficacia. Ed ecco piovere Allarme, Io sto bene, Tu menti, Curami, Emilia paranoica. Giovanni Lindo non c’è, ma il punk dei Cccp suona ancora bene.

sarà stato concordato

Standard

Che farete il 25 aprile? E il primo maggio? Spero non mi abbiate frainteso: mi riferisco a pasquetta e al giorno della beatificazione di Giovanni Paolo II, mica a quelle feste da comunisti fuori moda, quelle con i cortei e bella ciao che si sente da tutte le parti. Tsk.

Quest’anno la settimana santa durerà fino alla settimana successiva (tra parentesi: volutamente) e la cosa mi ha lasciato perplesso. Per non dire che mi ha fatto arrabbiare. È vero che il target di base delle 4 feste di cui sopra è differente, ma l’indecisione potrà affliggere un bel numero di persone e, di questi tempi, indovinate un po’ quale delle due coppie di celebrazioni avrà maggior copertura mediatica e risonanza sull’opinione pubblica.

Probabilmente sussistono motivi che non comprendo, ora cercherò di informarmi meglio, magari potevo farlo prima di scrivere qui. Ma l’aver fatto coincidere una festività come il lunedì dell’angelo con il 25 aprile e la beatificazione di papa Wojtyla con il primo maggio, nello stesso anno, mi suona piuttosto provocatorio, e non si tratta solo dell’annosa questione Peppone vs Don Camillo, con cui si liquida con troppa facilità una questione vecchia tanto quanto la nostra repubblica.

Sin dal giorno in cui l’esercito alleato ha messo piede in Sicilia e ha iniziato a ricacciare i nazifascisti da dove erano emersi (non così troppo a fondo, a quanto pare, visto che al primo rigurgito di melma dai bassifondi sono tornati su), è iniziato congiuntamente il processo di liberazione dalla componente comunista, partigiani garibaldini in primis e anticlericali a ruota, con l’obiettivo di evitare un avvicinamento dell’Italia all’Unione Sovietica di Stalin e la conseguente probabile riqualificazione di aree quali San Pietro e Città del Vaticano in granai e magazzini, ancor prima della volontà di arginare la messa in pratica del socialismo reale nel nostro paese.

Ora, perdonate l’analisi politica da aperitivo di autofinanziamento alla casa del popolo, ma la nostra storia recente, almeno fino al 1989, è stata tutta mossa da questo principio, che ha un nome e un aggettivo e un acronimo: DC. Finita poi la guerra fredda, disintegratosi il PCI, si è perpetrato un generale scempio della sinistra italiana, della cultura di massa del partito stesso, con l’obiettivo di cancellare quel po’ di laicità dello stato che anni di battaglie civili, a volte anche cruente (in senso traslato, perché se ne parliamo in senso stretto si apre un mondo), avevano permesso di conquistare.

Un fenomeno di damnatio memoriae che abbiamo vissuto dal 94 ad oggi, grazie a chi sappiamo, compresi quelli che non hanno provato nemmeno a limitarne gli effetti. Forse non si trattava di un background così solido, se alla prima spallata è crollato. Non paghi di tutto ciò, oggi i colpi bassi non sono nemmeno più ritenuti come colpi bassi. Vale tutto. Non ci si lamenta più, ed è addirittura considerato normale in un paese in cui il partito che fa la differenza è ancora la chiesa.

Ora, non mi risulta, dal 1945 ad oggi, che la Pasqua sia mai coincisa con il 25 aprile, e capisco che, dal momento in cui per il calcolo della stessa sussista una tradizionale procedura, prima o poi capiterà la coincidenza con l’anniversario della liberazione. Nel 2011 coincide però con il lunedì dell’angelo. Ci si scandalizza della totale deregulation sugli esercizi commerciali aperti la domenica e nei giorni di festa. Lavorare il giorno di Natale? Mai, ricordati di santificare le feste. Ma non se una festa cattolica coincide con la più importante celebrazione del calendario istituzionale italiano.

Questo per il 25 aprile. Che non è un problema, voglio dire. Si fa pasquetta in corteo anziché nei prati. I non cattolici non sono obbligati a festeggiarla. Ma si è persa ancora una volta un’occasione per rispettare i principi di chi vorrebbe vivere in una società secolarizzata. Come se difendere i diritti degli uni significasse limitare i diritti degli altri. E chi è a metà, tra Peppone e Don Camillo, sa a che santo votarsi, perché non si sa mai cosa c’è dopo ed è bene stare sempre pronti.

E non finisce qui. La beatificazione di Giovanni Paolo II, il papa polacco, l’uomo giusto al momento giusto, mai fumata bianca così appropriata, che ha dato una vigorosa spallata allo sgretolamento dell’Unione Sovietica annessi e connessi, la sua beatificazione dicevo è stata programmata nel giorno della festa del lavoro. E non è certo per la nostalgia del Patto di Varsavia che il primo maggio è una data piena di significati per i lavoratori, per la sinistra, per i sindacati. Perché non programmarla, che so, sette giorni dopo? Perché? Come si muoverà il cattocomunista, quella domenica? E le persone comuni? Andranno a ricevere la benedizione la mattina, in Vaticano, e a scandire slogan conditi con qualche bestemmia il pomeriggio, in Piazza San Giovanni, pogando i Modena City Ramblers?

Ecco, nel 2011, anno dell’unità d’Italia geografica, mi sarebbe piaciuto celebrare con più enfasi anche l’unità d’Italia politica. Quella che è nata il 25 aprile con lo sforzo di (quasi) tutti. E un primo maggio con i piedi per terra, anziché con gli occhi al cielo.

ruby e stasy

Standard

Chi è Stasy? Una nuova minorenne intercettata nelle conversazioni sui festini della tavernetta? Una ex-schiacciabrufoli a cui è stato donato un assessorato nuovo di zecca? Una naufraga dell’Isola pronta ad essere stipendiata dai suoi fan contribuenti? Ma no, siete fuori strada. C’è un complotto, a suo insindacabile giudizio, per convincere anche i suoi più strenui sostenitori della sua incompatibilità con il suo ruolo. Peccato che tutto questo si ripercuota sulle vite degli altri. Qui non è la DDR.

i giochi degli altri

Standard

L’Europa dell’est, prima delle code per gli i-phone