stare al computer conserva ancora tutto il suo fascino

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Se vogliamo dare una delle solite liste ma questa volta con l’obiettivo di elencare alcune delle fasi superate le quali è avanzato di molto il processo evolutivo del genere umano direi, così sui due piedi:

– l’atto di alzarsi per cambiare canale alla tv, reso obsoleto dall’invenzione del telecomando
– le telefonate dall’unico telefono di famiglia sul mobiletto o appeso al muro e la conseguente condivisione dei fatti propri, una cosa che oggi sarebbe comunque inimmaginabile (spero abbiate colto l’ironia)
– stare al computer

ed è su quest’ultimo punto su cui vorrei soffermarmi, perché stare al computer, che è una delle principali cause dei problemi fisico-motori della gente degli ultimi vent’anni – pensate alle varie cervicali, torcicollo, vista, scogliosi e altre deformazioni della spina dorsale, problemi ai polsi per l’uso del mouse e della tastiera, pancia, in alcuni casi persino emorroidi a causa di un’eccessiva sedentarietà, fastidi alle articolazioni delle gambe e dei piedi sempre per posture incorrette – oggi è una delle nostre abitudini che presto manderemo in pensione (beata lei, quindi) soppiantata dai dispositivi touch e privi di periferiche che non necessitano della postazione classica di lavoro composta da sedia e scrittoio. E vorrei proprio soffermarmi su questo punto perché lo stare al computer, in fondo, è l’evoluzione dello stare sulla macchina da scrivere, che a sua volta era la modernizzazione dello scrivere con carta e penna, una mano sul foglio per immobilizzarlo, l’altra che ara bianchi prati per seminare con seme nero (questa è una citazione, indovina l’indovinello).

Ma, per quanto riguarda me, o almeno finché saranno prodotti, userò sempre i computer portatili, con quella forma a elle e sempre più sottili che mi fa davvero sentire un uomo di un film di fantascienza, anche ai tempi di Ok Google che quando lo pronunci in mezzo a tante persone senti decine di dispositivi mettersi sull’attenti e risponderti allo stesso modo. Questo sempre che non ci sia una giuria popolare a mettersi in mezzo per decidere per tutti noi che lo stare al computer è una cosa che non va più bene. Ecco, io la giuria popolare grillista me la immagino composta dalle stesse persone che, dieci anni fa, si facevano i video mentre mettevano le Mentos nella Coca Cola col doppio intento di dimostrarci i risultati e di riempire l’Internet di minchiate, proprio come me.

non capisco che cosa ci sia di male a essere abitudinario

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Entrare in un posto, chiedere il solito senza altre spiegazioni ed essere servito è uno di quei comportamenti stereotipati che si vedono in tv e che ci piace imitare per scherzo perché trasmette agli altri avventori diverse informazioni su noi stessi: il controllo del territorio, la notorietà, l’anzianità (non necessariamente con accezione anagrafica), l’anzianità (con accezione anagrafica), la consapevolezza e la sicurezza di sé e molto altro che al momento non mi viene in mente. Ah no, ecco: il fatto che il gestore di un esercizio pubblico di qualsiasi tipo, malgrado le centinaia o migliaia di clienti fissi e occasionali di cui è al servizio, si ricordi dei gusti di uno in particolare e cioè di chi chiede il solito. Questo è il pensiero che mi viene in mente ogni volta che vado da Nicholas che è il mio parrucchiere; prenoto ogni due mesi circa, mi siedo sulla poltrona dopo lo shampoo e gli dico di farmi il solito. Poi mi rendo conto che un parrucchiere uomo e donna che farà penso una media di una decina di tagli e acconciature al giorno non può ricordarsi di me che tra l’altro vado da lui soltanto da un anno e mezzo circa. Così gli spiego per filo e per segno che li voglio belli corti sui lati e dietro e un po’ più lunghi sopra. Lui che ha vent’anni interpreta le mie istruzioni a modo suo, tant’è che esco di lì sempre con la cresta (e con lo scontrino), ma al primo lavaggio poi tutto rientra nelle linee che si addicono di più a un signore di mezza età come me. Ma il punto non è tanto la mia capigliatura quanto il concetto di solito.

Viviamo il solito ogni giorno perché siamo noi che abbiamo scelto la dimensione del solito per le nostre esistenze, e non lo dico per muovere una critica. Io prendo il solito in tutto ciò che riguarda la mia vita credo almeno dalla terza media. Oggi ho ascoltato un disco che ho comprato con la paghetta settimanale nel 1979, per dire, un vinile che sono sicuro di aver ascoltato milioni di volte. Prendo anche sempre la solita pizza, quella con i friarielli e la salsiccia, e tutte le volte devo difendermi dalle accuse di ripetitività perché scelgo quei gusti e la voglio prendere sempre nello stesso posto. D’altronde la fa buona come piace a me, perché cambiare. Alla tipa che prende le ordinazioni però non chiedo mai il solito. Una volta ho fatto una piccola gag con mia moglie facendo finta di volere chissà quali ingredienti che poi alla fine erano friarielli e salsiccia ma non so se non l’ha capita o non faceva ridere, così ho imparato che è meglio non scherzare quando si ordina la pizza lì. E non ci vedo nulla di male a essere abitudinario. Pensate che palle, davvero, ogni volta doversi inventare qualcosa di nuovo. Per fortuna qui posso scrivere sempre le stesse cose e nessuno mi dice mai nulla.

ricorrenze

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Ora poi voi dovete spiegarmi perché mai uno dovrebbe cambiare il suo posto nel mondo che fino a prova contraria è unico. Temporaneo, siamo d’accordo, ma nessuno ci può togliere quel tot di metri cubi di spazio che occupiamo dentro al quale uno fa un po’ quel che vuole. Il mio si trova qui, anzi lasciatemi dare qualche coordinata. Cercate sul vostro navigatore o sul dispositivo GPS che utilizzate quando perdete la bussola – in senso proprio e lato – cercate quel punto tra l’abitudine e la coerenza, molto più sul lato dell’abitudine che qui gli eroi non li trovi nemmeno con Google Street View. Si tratta di un punto che si trova nella zona dell’immobilità compulsiva, quello stato sovrano che da sempre ha inglobato la metodicità bulimica e tutto ciò che vi è di reiterativo a questo mondo. Dal percorso per l’allenamento invernale e quello estivo fino al modo in cui accostare i cibi passando per le costruzioni dei periodi, l’uso della virgola, le parole da mettere in rima quando c’è da perdere tempo e bisogna occupare la mente. Una cosa in cui gli anglosassoni sono di certo molto più agevolati di noi, per esempio da loro crazy fa rima con lazy, da noi con parole come pazzo non c’è molta scelta. Quindi mi arrogo il diritto di stabilirmi per sempre qui, qui dentro di me intendo, e spostarmi sempre con tutti gli orpelli ma in luoghi conosciuti dove posso esercitare il mio controllo sotto la copertura della sicurezza senza bisogno di dovermi sbilanciare con l’antenna perché in qualche punto non prende. E dire che l’abbonamento non è certo a buon mercato, finché esisteva un solo provider era fin troppo facile avere certezze tanto che poi in molti ci hanno mangiato e se ne sono approfittati. Oggi con le liberalizzazioni – cosa che non condivido – ognuno si abbona al tipo di sicurezza che vuole, con lo scatto alla risposta o flat o dati e voce giusto per farsi sentire anche a parole e non solo con i fatti. Io, per esempio, stamattina ho fatto le stesse identiche cose che hanno occupato la mia prima giornata di ferie dell’anno passato e sono certo anche di quello prima. Una sgambata all’alba, c’era il sole che stava nascendo dietro al mare che era uno spettacolo e io che correvo come un deficiente nel nulla della Sardegna. Poi un bagno nell’acqua calda del mattino, una sorta di battesimo della libertà per noi testimoni della semplicità sentimentale che ci emoziona qualunque cosa. E so già persino cosa farò dopo: prenderò il mio laptop e scriverò un post come questo.