enueg nel senso di antitesi al plazer

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Un breve elenco delle cose che mi danno fastidio oggi. Le mani fredde, le filastrocche in spagnolo, l’eccessiva giovinezza, l’eccessiva vecchiaia, i padri americani con bellissime figlie al seguito, gli uffici pubblici che rispondono alle e-mail 10 giorni dopo e il dover ostentare cortesia per accattivarsene la grazia, le sarde che si ripropongono, i tempi di attesa del mio lavoro, i clienti, il mio lavoro, le ugg con la lana che sale sul polpaccio, doversi preoccupare come parte del proprio lavoro, il lavoro che faccio, quelli che non capiscono quando ci sono priorità da rispettare, i miei cambiamenti repentini di umore, le email di ringraziamento, i contatti che ho al lavoro, trascorrere più di due ore con la stessa persona che non sia un famigliare stretto soprattutto sul lavoro, le telefonate in genere, ma quelle di lavoro più di ogni altro, gli stop-and-go dello shopping, ogni tipo di rischio e, soprattutto, tu.

giro di boa

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Nei programmi tv in cui si prepara da mangiare al cospetto di esperti, la media è di uno all’ora e ho approssimato per difetto, ci si imbatte spesso in gente che fa tutt’altro e che a un certo punto decide di esporsi tramite una passione più o meno sopita ma che è comunque esterna al perimetro della confort zone di riferimento, che è in questo caso stare dietro ai fornelli. Nei sottopancia che compaiono a video si legge Nome Cognome e poi sotto architetto, o impiegata, o imprenditrice, ma lì in prossimità della enogastro-star è qualcuno che veste i panni di aspirante chef.

Così ho pensato che, in senso lato, questo potrebbe essere un format televisivo di successo: persone che si rimettono in gioco in una fase magari critica del loro vissuto e grazie ai soldi della pubblicità televisiva – o del canone o del cannavacciuolo di turno – hanno l’opportunità di voltare pagina. Vi sfido a trovare qualcuno che non riporterebbe indietro il suo lavoro per ri-avere in cambio la sua passione, o anche solo lo permuterebbe per un impiego diverso purché più edificante o anche solo più remunerativo e davvero, già mi vedo la marea umana di candidature come ai provini indiscriminati di X-Factor, in cui ogni funambolo del cambiamento, uno ad uno di fronte a questo o quel selezionatore di successo, racconta la sua storia e spera di essere condotto alla fase finale perché faceva il direttore di filiale ma vorrebbe ricollocarsi come fabbro, oppure il copywriter che aspira a una cattedra di insegnante della scuola primaria o il contabile che vuole avviare una panetteria.

Io lo sostengo da tempi non sospetti: saremmo tutti più felici se ci scambiassimo i mestieri con una certa frequenza, e non solo come semplice riposizionamento in un altro reparto sempre all’interno della stessa società. Il mondo girerebbe alla grande e il ceppo più debilitante dello stress verrebbe finalmente sconfitto. Se poi parliamo di passione che subentra al ruolo che ci portiamo appresso da una vita, probabilmente questo pianeta esploderebbe ma di entusiasmo. Pensate a quante energie mettiamo in quello che ci piace fare e al senso che ha tirare i remi in barca quando si ha ancora molto da dare alla società ma in altre vesti. Quindi non venite a dirmi che il lavoro è la vostra vita perché, come sostiene un mio amico, questo significa che vivete male.