scontro di inciviltà

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Oggi è tutto talmente liquido, ancora per dirla come coso là Bauman, che si mescola che è un piacere. Tragedie e Pokemon scorrono veloci insieme rimestate dai gorghi e lungo le insenature inquinate del nostro divenire che volge verso le cascate finali oltre le quali boh e nessuno che si prenda la briga di mettere tutto in pausa e darsi un contegno. Questo perché le cose sono un gigantesco sistema multitasking, noi stessi non siamo in pochi in quella frenetica ora di punta che è questo periodo storico dove tutti ci teniamo a confermare la nostra presenza, quindi finisce che il particolare perde la gara decisiva con il generale e nel minestrone informativo color acqua sporca che ne deriva certi dettagli non si vedono più, se avete fatto almeno le medie saprete qual è la questione dei solventi e dei soluti. Ma all’indifferenza con cui approcciamo la drammaticità di certi eventi – i cui aggiornamenti consultiamo al ritmo di “The Show Must Go On” dei Queen, e già per questo probabilmente non abbiamo scampo – non esiste un piano di redenzione standard o comunque plausibile. La presentazione stessa delle notizie, incasellate sulle pagine web di quelli che una volta rispettavamo come quotidiani autorevoli, con il criterio digitale e scellerato che le appaia nell’opposta portata del loro significato, si presta perfettamente alla nostra impostazione emotiva per cui a meno che la morbosità per il macabro non prenda il sopravvento ecco che già siamo sul clima tropicale, sull’angelo del violoncello suona per i malati terminali, su Pellè che vola in Cina con Viktoria e i tifosi impazziti per la coppia. Non so da chi abbiamo imparato questa sorta di schizofrenia che probabilmente è indotta dall’autoconservazione o da quell’intuito ipocrita che spinge a mollare tutto e tutti e metterci al sicuro. A chiudere gli occhi, tapparci le orecchie, serrare la bocca. Ecco, questi sono i nostri primati, nel senso delle scimmie, però.