a sangue freddo

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A chi non è mai capitato di essere in forte ansia per qualcosa, e a me capita di sovente, o di provare una insostenibile sensazione di disagio, anche una semplice emicrania, e di avere a fianco la persona meno indicata su cui fare affidamento. Mi spiego meglio. Siete seduti su un volo di linea verso New York, va bene anche prima delle torri gemelle, l’aereo ha appena attraversato una forte turbolenza che vi ha causato il panico misto alla nausea, momenti in cui pure le hostess si barricano con le cinture, e ora con una mano reggete il kit in dotazione per, diciamo così, non disperdere il vostro dissenso altrove e con l’altra vi aggrapate al sedile davanti, e tutto intorno a voi un gruppetto di ebrei ortodossi recita preghiere propiziatorie (alla comune salvezza, si spera). E soprattutto quello che occupa il sedile di fianco che vi ha fatto alzare non so quante volte per andare in bagno, lui ora ha il colore di un fantasma (ammesso che gli spettri siano davvero così bianchi tendenti al trasparente) ed è il più infervorato di tutti in quella specie di mantra tanto che ve lo urla nelle orecchie come una minaccia, il sudore che cola giù dal berrettino che non ricordo come si chiama e i riccioli neri tutti appiccicati sulla nuca. Ecco, questo è esemplificativo?

Oppure avete un attacco di quelli forti, avete capito cosa intendo, e non vorreste altro che entrare di corsa in un bagno, serrarvi dentro e dare il giusto corso all’angheria che in quel momento vi impedisce persino un passo in più e incontrate proprio lui, quel tipo pallosissimo che vi tiene sempre a parlare di cose di cui non vi importa nulla tanto meno oggi con il mal di pancia a mille, con il quale però non avete sufficiente confidenza da sbatterlo a terra con una spinta e scappare via gridando che state per scoppiare per quel motivo lì.

O ancora la mattina dopo una sbronza di quelle da star male, il capo che vi incontra e vi offre un passaggio in auto, almeno una decina di chilometri nel traffico. Frena, accelera, cambia, frena, accelera, cambia, ha sempre la guida nervosa e non vi dico stamattina che si è alzato male. In più ha appena fumato una sigaretta dopo il caffé e vi ammorba di parole all’aroma fetido delle sue carie, e pensate, mentre il mal di testa vi colora di blu rimorso, alla scusa che avreste potuto trovare per non essere lì a patire in quel momento, ma che è tutta colpa del voi stessi della sera prima che non avete saputo trovare il punto in cui dire basta e stamattina i riflessi e l’acume sono rimasti nella birreria in cui ieri sera eravate leoni che è ancora chiusa e non aprirà fino all’ora dell’aperitivo.

Ecco. Sabato scorso, mentre tutti aspettavamo il momento per festeggiare le dimissioni del secolo e lui non si dimetteva mai, procrastinava, si riuniva con i suoi lacché, io ho avuto una specie di cedimento, di quelli che mi vengono quando la situazione si fa davvero preoccupante e sembra volgere al peggio. E ora che tutto sembra essersi risolto nel migliore dei modi, migliore in senso relativo rispetto alla situazione contingente, ho scoperto che la cosa che mi ha fatto superare la soglia del panico è stata la quantità di spiritosaggini che, malgrado la gravità della situazione, continuavo a sentire in giro. Intendo tutte le battute, le vignette, l’umorismo sagace e i commenti satirici. Cioè tutto sembrava volgere al peggio, almeno per chi è stato pessimista come il sottoscritto, e in tivvù si susseguivano gag, imitazioni, sfottò. E mi sono sentito così: io sotto stress, quello incontrollabile perché indipendente da me, e intorno quella specie di circo che continuava lo spettacolo e voleva farmi ridere, a tutti i costi. Non so, ma a me non sembrava ci fosse un cazzo da ridere, tutto qui.

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