cose che non cambiano mai

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È più facile che un cammello passi per la cruna di una ago che il chitarrista della vostra band si convinca a mettere in repertorio “Rebel rebel” di David Bowie. Indovinate il perché.

7. Sense of Doubt – 3:57

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Pensavo di acquistare il vinile del nuovo disco di Bowie ma non credevo che andasse fino in fondo con la copertina che, se l’avete vista, è Heroes con una pecetta sopra con su scritto il titolo del disco in un font di sistema che nemmeno Windows 3.1. Voglio dire, capisco il significato dell’operazione ma pensavo si limitasse alla campagna pubblicitaria, volta alla persuasione del pubblico di riferimento che il caro David fosse letteralmente risorto e a smentire le voci che davano le sue condizioni di salute non proprio buonissime. Ora, inutile sottolineare che la mia collezione di dischi comprende l’intera trilogia berlinese compreso l’album suddetto, un po’ sgualcito visto che risale al 1977, quando mio padre teneva la contabilità per un noto negozio di dischi della mia città che talvolta gli faceva omaggio (credo per motivi di tetto massimo di retribuzione) di novità discografiche e potete figurarvi la bellezza della cosa, vista la bulimia musicale che contraddistingue soprattutto la componente maschile della mia famiglia di origine. Quindi avere due elementi della collezione dallo stesso dorso urta la mia sensibilità, che già ho due Black Celebration dei Depeche Mode perché quello originale l’avevo portato a una festa new wave all’epoca e la dj aveva scambiato il vinile rifilandomi una release di Three Imaginary Boys dei The Cure da collezione, uno scambio in cui ci ho indubbiamente guadagnato ma non ditelo a nessuno che ho una copertina che non corrisponde al suo contenuto. E il dubbio di fondo è se tenere il disco insieme agli altri dei The Cure o tra quelli dei Depeche Mode, che è sempre stata una delle mie principali preoccupazioni. Anzi, voi se foste al mio posto cosa fareste? Questo per dire che poi mi ritroverei questo scherzo della natura in casa, in uno dei luoghi più visitati e di culto, facendo scorrere uno ad uno i dischi in ordine alfabetico mi ritroverei sempre a farmi domande sul perché è stata portata a termine una scelta così contraddittoria da un punto di vista meramente estetico senza che mi venisse chiesto un parere. Ci devo pensare. Ah, come avrete capito poi Black Celebration me lo sono pure ricomprato.

bowie

skary monster

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Dalla pagina di Wikipedia: “Musicalmente Ashes to Ashes è notevole per il ritmo ska in levare, il suo delicato suono d’archi sintetici, contrappuntato dal potente basso funky, e dal complesso cantato stratificato su diversi livelli di Bowie.” Ritmo ska in levare?!? Ashes to Ashes di David Bowie?!?!

david bowie – where are we now

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Eravamo tutti un po’ preoccupati, c’erano voci che lo davano piuttosto cagionevole, qualcuno aveva visto una sua foto conciato malissimo. Poi ecco ancora una volta l’imprevedibilità di Bowie che ci lascia piacevolmente sorpresi. Un nuovo singolo, struggente quanto il suo essere “a lad insane” sessantaseienne, un nuovo album dal titolo “The next day” che dovrebbe essere pubblicato a marzo, e chissà, magari un tour ma di questo, ancora, non si trova traccia. Buon compleanno, Duca.

e se facessimo tutti una colletta e ce lo ricomprassimo il mondo?

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Oggi che è sabato avrete tutto il tempo per dedicarvi a questo video commovente che balza al top delle cose migliori viste e sentite quest’anno nell’Internet e non solo. E che guarda caso riguarda un’infilata da un’ora di canzoni di Bowie che magari uno non ci pensava da tempo e che rimesse in ghingheri e mixate così sembrano ancora più belle. Che poi tutte le copertine che quell’armamentario che vedrete utilizzato come escamotage dai 2manydjs o soulwax come diavolo si chiamano le conosciamo bene, dato che sono tutte lì belle impilate nella collezione di vinili. Prima volevo dire anche più attuali – le canzoni di Bowie – ma questo mi sembra scontato e lo sapete già. Grazie a Fabio De Luca.

the ultimate rise of ziggy stardust e tutti i ragni di marte in colonna

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Ziggy Stardust ha 40 anni e il suo autore decisamente di più e ci si chiede dove sia finito, David Bowie. In onore di entrambi la EMI sta per pubblicare una versione rimasterizzata in tutti i formati vinile incluso del concept album a metà tra glam e fantascienza. Inutile sottolineare che questa operazione non mi riguarda perché sono in possesso dell’edizione originale del disco. Ma l’occasione è quella giusta per postare una delle più belle copertine della sua discografia. Via Pitchfork, malgrado la mainstreamness della notizia.

tale e quale

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Ecco il vero dramma della modernità: non essere in grado di rendere al meglio i pezzi dal vivo. La differenza tra studio e live. Perché è facile avere tracce registrate e portarsi sul palco un macbook, che poi il macbook non ti si pianta mai ma poi se succede cosa fai? Il cantante si rivolge al pubblico dicendo chiedo scusa ma dobbiamo riavviare il sistema? Suonare così è un annoso problema perché ti blocca nella libertà di eseguire le canzoni come vuoi, sei legato al clic in cuffia e in molti casi alle strutture rigide. Ha senso sacrificare l’immediatezza tipica del rock dal vivo per un effetto che magari è l’elemento caratterizzante del brano? Ma non è solo questo, è anche un fattore stesso di suoni e strumenti tradizionali, parti registrate da musicisti e poi dal vivo eseguite da altri. Uno si aspetta che live la musica dia le stesse sensazioni invece ne fa provare altre ma magari non sono quelle che cercavi, e allora uno pensa che si stava meglio in cameretta ad ascoltare il disco anziché investire nel contatto diretto con il proprio beniamino da condividere peraltro con altre migliaia di persone. Vi faccio l’esempio di uno dei miei brani preferiti di Bowie che è Ashes to Ashes. Avete presente il solo di moog che è in coda al pezzo, un parte molto minimale e delicata che impreziosisce ulteriormente la canzone a partire da 03:53?

Bene, non riesco a trovare una versione dal vivo in cui quella parte renda allo stesso modo, perché suonata da tastieristi supertecnici che lasciano il loro inutile virtuosismo prevalere sull’estetica del pezzo in assoli eseguiti con timbri agghiaccianti. Sentite qui per esempio, a partire da 04:35. Farò ricorso in qualche modo all’autorità di competenza.

per un pugno di dollari

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David Bowie, vestito da cowboy, che suona la chitarra e canta una canzone. È doppiato da schifo, un timbro che nemmeno lontanamente ricorda il duca bianco, ma è Davie Bowie e altrove, stiamo parlando della tv in una sera qualsiasi d’agosto, quando è già disdicevole di per sé essere in casa con la tv accesa, ma può capitare, c’è il vuoto digitale. Non ricordavo che avesse fatto un film ultimamente; ho visto L’uomo che cadde sulla terra e Miriam si sveglia a mezzanotte, ricordo Furyo. Ma film recenti? E poi Mr. a lad insane che recita in un western? Stiamo a vedere. È questione di secondi e vedo anche Harvey Keitel, è di profilo e guarda dalla finestra. Tra me e me penso che la cosa si sta facendo interessante. Harvey Keitel, diamine, un tempo era il mio beniamino, soprattutto dopo Smoke. Ci sono buone probabilità che il film sia di qualità. Ma il terzo indizio fa piazza pulita: a fianco di Harvey Keitel fa capolino Pieraccioni. La tv si spegne come per incanto; ho deciso, per il mio equilibrio, di continuare a ignorare il motivo e i dettagli di un simile coacervo cinematografico. Bowie che ha accettato, non so quando e non so come, di fare un film con Pieraccioni. Vi prego di non dirmi nemmeno il perché.

the shame was on the other side

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Intanto ascoltate qui sotto, poi ne parliamo.

Ci siete? Ok. Uno dei brani più celebri della storia del rock, se non di tutta la musica di ogni genere. Ingiustamente solo 46esimo nella top universale che Rolling Stone ha compilato nel 2004. Se non altro perché è un pezzo che ha segnato la storia dei miei ascolti, come quelle di tanti altri, stabilendo una sorta di punto di partenza e di arrivo, l’alfa e l’omega. Prima di continuare: se volete tutti i dettagli sul perché e il percome e chi ha suonato in studio con Robert Fripp e Bowie, andate qui.

Heroes è innanzitutto la vetta artistica del periodo berlinese di Bowie, esce nel culmine degli anni ’70 (il 1977), parla di una storia che si svolge sullo sfondo del monumento all’umanità (nel bene e nel male) più significativo del dopoguerra se non del ‘900 (il muro di Berlino). Tutto questo in un brano rock/pop, non è cosa da tutti i giorni. Incarna perfettamente l’estetica e lo stile, oltre i contenuti, come abbiamo visto, di un momento culturale e artistico, con un pizzico di moda. Vogliamo parlare della copertina dell’album e del diametro diverso delle pupille di Bowie e della sua posa e del giubbetto di pelle che indossa nel video? Ma torniamo alla musica.

Una delle sue particolarità è che piace a tutti, e non perché si tratta di un brano dozzinale. Piace ai fan di Bowie, ovviamente, agli amanti della musica dei ’70 perché rappresenta uno spartiacque e apre le porte del pop al post-punk. Piace ai rockettari perché vi colgono il lato malinconico del rock e ai più decadenti (ieri dark, oggi emo), perché vi trovano un punto di appoggio. Ai cultori della musica raffinata perché è prodotta da Robert Fripp, agli altri perché è stata emulata in più edizioni di X Factor. Piace a me, perché mi riesce facile inserirla in qualsiasi tipo di playlist.

La versione uscita come singolo, che è quella che avete (spero) appena ascoltato sopra, è più breve, rispetto a quella sull’LP. E di molto. Un tempo erano rari i radio edit, potrei fare decine di esempi. Per esempio Tunnel of love dei Dire Straits. Heroes è un precursore della brevità radiofonica? Manca così tutta la prima strofa, che oltre ad essere fondamentale nella simmetria del testo in quanto viene ripetuta come quarta strofa, un’ottava sopra, è anche fondamentale nella lirica stessa. Manca poi un passaggio troppo intenso:

And you, you can be mean
And I, I’ll drink all the time
‘Cause we’re lovers, and that is a fact
Yes we’re lovers, and that is that

Tutto questo per suggerirvi di ascoltare sempre e solo la versione completa, contenuta nell’LP. Ve ne prego. Non lasciatevi prendere dalla fretta quando si tratta della storia della musica. E poi sono sono solo poche frazioni di mega in più.

Ma Heroes è anche una colonna sonora formidabile. Uno di quei pezzi epici che sta bene su tutto. Hai un video che manca di pathos? Mettigli su Heroes. L’esempio più eloquente è la sua presenza nella colonna sonora di “Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”, il film di Edel del 1981. Dubito che l’abbiate perso, comunque date un’occhiata qui (anche se è un tono sopra):

Questo stride non poco con altri successivi accostamenti suono-immagine in positivo, forse fatti per compensazione, almeno per chi, come me, considera queste scene con vero e proprio videoclip del brano. La bella morte – sono modelli negativi quanto volete, non ne sto facendo una questione morale, ma pur sempre modelli – dei tempi era così. Immaginate la mia perplessità quando Bowie stesso ha voluto celebrare con Heroes i martiri in divisa dell’11/9, a New York. Una piacevole eccezione è costituita dalla sigla del programma di Raitre Sfide, l’effetto decontestualizzante generato dall’accostamento con il calcio risulta quasi piacevole.

Heroes è, infine, uno dei pezzi più difficili da suonare. Nel senso da riproporre come l’originale. Bowie stesso e la sua band non ci sono mai riusciti, a partire dalla versione contenuta nell’album Stage del 78, che ad oggi continua ad essere la più vicina a quella in studio. Il piano è troppo in evidenza, non si amalgama con il feedback della chitarra che intrecciata al synth è riuscita a generare quel suono così freddo e così inimitabile. Non rende il volume del ride di accompagnamento, con una sequenza ritmica che probabilmente in studio si mescola a tutto il resto. Cassa e rullante stessi, dal vivo, danno subito un’impronta eccessivamente rock a un pezzo che è tutt’altro che rock, nel senso puro del termine.

Così Bowie, non potendo attenersi al suono originale, prova versioni e arrangiamenti, piuttosto discutibili. Questa, per esempio, è segnalata dalla critica come una delle migliori versioni live. Tsk. Malgrado la presenza del very pretty Thomas Dolby ai synthesizers and keyboards. Ma si sa, il suono degli anni ’80 ha dovuto per forza di cose porsi in antitesi a quello precedente, figuriamoci se non c’è stato il tentativo di negarne il principale manifesto. E le successive e quelle del Bowie più recente, che ha avuto comunque un rigurgito di Berlino, non sono meno kitsch. Purtuttavia si tratta di uno dei brani più coverizzati della storia, quasi più di Enjoy the Silence. E senza dubbio alcune cover sono meglio delle versioni live di Bowie: per approccio quella dei Wallflowers, per ricchezza emotiva la più recente di tutte (almeno credo), interpretata addirittura da Peter Gabriel.

Brano consigliato per smaltirne l’effetto: Sense of Doubt. Nello stesso album, ti riporta direttamente con i piedi per terra. Giuro.