perché si dice mettere le mani avanti

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Gli ostacoli che si interpongono lungo i processi di comunicazione tra bambini e adulti, nel dettaglio tra i vostri figli e me in classe, sono molteplici. Metto le mani avanti, anche solo per entrare nel merito del titolo di questa mia considerazione, e ammetto di essere duro d’orecchi per non dire di peggio. Ma non è solo colpa mia, giuro. La maggior parte dei vostri figli parla come se esalasse l’ultimo respiro quando poi, se c’è da fare caciara, gli indicatori a lancetta sul visore virano indiscutibilmente sul rosso. Quando mi devono dire qualcosa che riguarda qualcun altro che si trova nella direzione opposta alla mia, interponendosi a metà tra il compagno in questione e me parlano rivolgendosi verso il compagno in questione senza tener conto di esprimersi a bassa voce, di avere un vocabolario individuale ancora oltremodo limitato, del fatto che magari intorno è esplosa la gioia collettiva dell’intervallo e che, come ho esordito sopra, il maestro è sordo e conseguentemente la lettura del labiale potrebbe tornare utile. Tenete anche conto che quando alzano la mano (se la alzano) durante lo svolgimento regolare della lezione, l’argomento dell’intervento raramente è contestuale e spazia in una gamma che va da “sai che mio zio si chiama Roberto come te?” a “un giorno la mamma mi porta al Parco Natura e poi mi compra Minecraft sul computer” a “maestro mi brucia il dito” quando magari sto affrontando un numero più alto del dieci, quindi a volte che io non capisca nulla di quello che mi dicono può essere interpretato come una forma di autodifesa, di sopravvivenza e di sicurezza sul posto di lavoro. Chantal, oltre a tutto questo, si mette costantemente le mani davanti alla bocca, per non dire in bocca. Quindi con lei i fattori da decriptare sono, nell’ordine: parla con me rivolgendosi verso qualcun altro con un volume ridottissimo in un linguaggio tutto suo e sgrammaticato con l’aggravante delle mani che, nei rari casi in cui potrei intercettare il labiale, occultano la componente visiva della comunicazione. Vanto record personali con vette di cose ripetute almeno cinque volte, spesso comprensive di un mediatore linguistico che, dal banco vicino, mi dà una mano nell’interpretazione e nella traduzione bambinese – adultico. E avete visto che sono riuscito a non dire nulla sul fatto che i genitori l’hanno chiamata Chantal? Se avessi studiato pedagogia, cosa che avrei dovuto fare per svolgere il ruolo che ricopro, dovrei essere in grado di dare un nome allo stimolo che spinge i bimbi a portare le dita in prossimità dell’apparato fonatorio. Ora lo cerco su Google e poi vi dico.

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