una sorta di filtro verso l’esterno

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Sei persone prendono posto in una sala riunioni in rappresentanza di tre aziende e come da prassi inizia lo scambio dei biglietti da visita. Ogni membro dell’azienda A, tre in tutto, estrae tre biglietti da visita e li consegna ai due dipendenti dell’azienda B e all’unico presente dell’azienda C. I due dipendenti dell’azienda B estraggono quattro biglietti da visita a testa e li fanno scivolare sulla superficie di vetro del tavolo verso i tre membri dell’azienda A e l’unico rappresentante dell’azienda C. Quest’ultimo prende cinque biglietti da visita dalla sua ventiquattrore e ne consegna uno ciascuno alle persone presenti alla riunione. I biglietti da visita sono un divertimento che è appannaggio degli adulti, ci si possono inventare giochi che nemmeno le carte dei Pokemon. Il classico lancio contro il muro, il biglietto che copre gli altri vince. Oppure il numero di caratteri del job title: si girano i biglietti e chi ha il job title più lungo si prende il biglietto dell’avversario. Per non parlare del celo-manca. Io li metto tutti in un cassetto, potrei dire che li colleziono ma in realtà non è vero perché non saprei dire se nel frattempo ne ho perso uno. ma intanto li tengo lì come si tengono oggi i contatti sui socialcosi, arrivi a cinquecento e poi perdi il conto, non sai nemmeno più di averli. E non sai nemmeno a chi possano appartenere, dovrebbero essere come le figurine dei calciatori, con la foto delle persone magari in azione: il sales che stringe la mano dopo un contratto firmato da un cliente, il responsabile CED che smadonna su un dispositivo capriccioso, quelli del marketing fermi a far nulla. E magari con l’album in cui attacchi i biglietti adesivi, al posto della suddivisione in società calcistiche c’è la suddivisione in società punto e basta. Il portiere potrebbe essere l’AD, con la maglia diversa e lo sguardo fiero come quello di Zoff. Ma non è così. Per fortuna è il sorriso il migliore biglietto da visita quando incontri gente per lavoro, la prima volta. La stretta di mano, uno sguardo diritto negli occhi e quella luce che (non a tutti) ti esce per presentarti, una sorta di flash che illumina la stanza e i presenti ne approfittano per memorizzare la foto del momento, non importa chi e che ruolo, siamo qui e parliamoci ché il cartoncino è triste e se è stampato a due colori è meglio dimenticarselo poi in qualche tasca e non pensarci più. O farci quello che ci si faceva da ragazzi, che è meglio non specificarlo qui che mi leggono anche i colleghi.

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