a loro va il mio più caro augurio di buon anno nuovo

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Hanno la sede in un edificio a forma di parallelepipedo tutto specchi scuri e cemento, che occupano solo loro perché oltre agli uffici c’è anche una specie di magazzino dove tengono gli arredi vecchi e i computer in eccesso. Ci possono arrivare solo in macchina perché si trova in un’area industriale, una di quelle indicate persino da segnali stradali dedicati e se per sbaglio ci finisci e non conosci la zona puoi anche non uscirne più, perché le vie hanno nomi e numeri civici per modo di dire, a malapena registrati nei database dei sistemi satellitari. Figurati a chiedere indicazioni, in giro non trovi anima viva se non alla guida di Tir e autoarticolati con targhe di paesi dell’est che una volta non c’erano nemmeno. A dire la verità ci sono un paio di impiegate che si recano al lavoro con i mezzi, sono le uniche che scendono al capolinea che è comunque a poco meno di un chilometro dall’ingresso, si danno appuntamento la mattina e la sera e percorrono con i tacchi i marciapiedi costruiti solo per convenzione con le norme urbanistiche ma che nessuno ha mai più manutenuto, e in balìa di gelo, radici e incuria si sono involute in una sorta di superficie lunare asfaltata, tutta buche e crepe. Per chi lavora lì è più difficile ritrovarsi dopo le feste, quando gli unici motivi che li riporta a incontrarsi in quegli spazi angusti sono i ricordi dei successi professionali condivisi e la speranza di raggiungerne di nuovi, cose di cui a malapena ci si può vantare su quei social network grigi di cui si parla di nascosto come se contenessero formule segrete di successo ed espansione del business. Tutto questo malgrado il freddo ritrovato dopo giorni di riscaldamento spento, malgrado i neon accesi contro il grigiore fuori a illuminare le certificazioni qualità incorniciate in picoglass economici da zelanti centraliniste tuttofare. Arrivano uno a uno, si sfilano le loro giacche a vento sportive indossate su completi di scarsa qualità, scarpe fintamente eleganti che ricordano il design di calzature sportive per conferire l’impressione della gioventù e della dinamicità come componente essenziale del modo di lavorare e di vivere stesso. Nel bar più vicino, dove comunque occorre prendere l’auto anche per un caffè, si trovano solo le mamme del quartiere dormitorio limitrofo, vanno lì per fare colazione dopo aver accompagnato a scuola i figli e si divertono a chiacchierare con il ragazzo che sta dietro al banco, che fa l’estroverso in eccesso in modo che i clienti ritornino ricordandosi di lui come di uno troppo simpatico, davvero un tipo. Qualcuno poi ricorda che nell’edificio di fronte alla sede aziendale, che è un po’ meno stabilimento e un po’ più centro direzionale ma il management non se lo poteva permettere per via degli affitti, all’ultimo piano c’è un bar con terrazza che nella bella stagione fa persino gli aperitivi con la musica, c’è il gruppo che suona e le cameriere che sbagliavano a portarti il long drink per il volume innaturalmente elevato così hanno dato in dotazione dei tablet con cui è difficile commettere errori. Si può fare tutto il casino che si vuole tanto intorno sono solo aziende e fabbriche e concessionarie di veicoli industriali per cui chi se ne importa. Qualcuno si chiede anche chi abbia voglia di fermarsi lì a fine giornata per una birra, in primavera e in estate, ma è un pensiero che ciascuno trattiene per sé, si potrebbe ferire la sensibilità dei colleghi che poi invece contano di bere qualcosa tutti insieme.

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