storie nella media

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Il Papa è morto stanotte a tempo di record. Peccato perché aveva l’aria di una persona mite, lo penso davvero mentre seguo i particolari al giornale radio e faccio colazione. Mamma è visibilmente emozionata, la vedo lavare le tazze già proiettata sul conclave che sarà, considerando che ne è appena finito uno. Poi esco e mentre attendo la campanella, davanti a scuola, presto attenzione alla madre del mio compagno di classe che è molto informata sulla storia della chiesa, so che ci passa molto tempo. Dice che è uno dei papati più brevi, che ce ne sono stati altri ancora più corti ma  in momenti così lontani in cui la storia vista dal 1978 potrebbe anche essere tutta un’invenzione. Fa anche qualche esempio e la sento nominare un Celestino, un Bonifacio e un Leone con qualche numero dopo che mi sfugge, dato che nel frattempo mi distraggo chiedendomi il motivo per cui la mamma del mio compagno di classe lo accompagni ancora a scuola. Trovo però la risposta nel fatto che in classe con noi, in prima media, c’è uno che ha quindici anni e gira con una catena con cui ammazza i piccioni. Quando vede i crocchi di piccioni intorno al cibo lancia la sua catena certo di colpirne almeno un paio. Proprio così, senza motivo. Il suo braccio destro che ha un anno in meno ma è in seconda, è quello che si ingegna a scardinare i distributori automatici a scopo di lucro. L’ultimo colpo è stato contro quello dei settebello Hatù che c’è fuori dalla farmacia di fronte, ma di monete non c’era granché così ha preso tutte le confezioni di preservativi e le ha distribuite all’ingresso, anche se in molti come me non sapevamo che cosa fossero ancora prima di comprenderne l’utilizzo. Sono un ipocrita e mi godo quella protezione gratuita fingendo interesse verso le vicende del Vaticano solo perché è sopraggiunto il tizio che ha fatto a pezzi il mio abbonamento per l’autobus con la sua scorta di fratelli tutti in serie, quelli che passano la maggior parte del tempo fuori dall’aula perché dentro non li vuole nessuno. Una volta hanno costretto un ragazzino a leccare i camperos di uno di loro. Al mio compagno di classe per ora non è successo ancora nulla. Eravamo insieme anche alla scuola elementare, visto che il complesso didattico è lo stesso ci teniamo a dare nostre notizie alla nostra ex maestra che invece ha ricominciato dalla prima. Nell’intervallo attraversiamo il giardino comune e andiamo a trovarla, ci fa sentire grandi e cresciuti rispetto ai suoi nuovi alunni in miniatura. Qualche tempo dopo ho un battibecco con un ripetente, però, e la cosa finisce con la resa dei conti all’uscita. Ci aspettiamo fuori poco convinti, lui non è uno di quelli aggressivi perché ha qualche problema di una specie di incontinenza e tutti lo prendiamo in giro. Ci spintoniamo un po’ prendendoci per il grembiule fin dentro la cabina telefonica, poi smettiamo e torniamo a casa facendo una parte del percorso affiancati, chiedendoci chi dei due avesse vinto. Il mio compagno di classe invece stende con un paio di mosse di qualche arte marziale imparata al cinema un ragazzino ampiamente più piccolo di noi, e quando è a terra gli molla pure qualche calcio nello stomaco. La cosa non sfugge a uno della banda dei fratelli. Il giorno dopo gli stanno per tendere un’imboscata, lui se ne accorge e scappa all’istante con uno scatto da campione di atletica. E non tutte storie vanno a esaurirsi non appena ne nasce una più grave o quando alla violenza iniziano a preferirsi le ragazze. Il più piccolo della banda dei fratelli poi un giorno mi dà dei soldi e mi chiede di comprargli le sigarette, a lui il tabaccaio non le vende mentre io ho la faccia da bravo ragazzo. Da quel giorno ho una sorta di programma di protezione perché gli tengo in custodia anche il pacchetto, visto che a lui lo perquisiscono prima delle lezioni. Un fattore che potrei usare a mio vantaggio contro Rossi, che è nel banco dietro al mio e che in un raptus di rabbia per i miei voti mi spacca una squadra da disegno tecnico in testa. Ma poi penso sia meglio di no. Rossi è senza padre, mi pare sia sfortunato già di per sé.

3 pensieri su “storie nella media

  1. se ci ripenso, e confronto l’ambiente in cui cresce mia figlia oggi che comunque ha le sue complessità, non mi capacito di come si riuscisse a sopravvivere ragazzi in posti come quello. Non era il bronx, ma un centro storico ligure che negli anni 60 era diventato una sorta di ghetto. Prima che le banche acquistassero – giustamente – gli edifici medievali per salvarli dall’incuria di chi abitava lì.

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