i panda, come nome per una band, non è un granché

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La leggenda diceva che si fosse rintanato in sala prove con l’obiettivo di imparare a suonare il basso e ne fosse uscito bassista. Era uno di quelli che sapeva strimpellare ogni strumento. Suonava il piano molto meglio di me, per esempio. Eseguiva a orecchio l’intro di piano di Firth of Fifth che è già un macello fare la parte con la destra – Tony Banks mica scherzava eh – potete immaginare accompagnare il brano con la mano sinistra e con i bassi corretti, con la scala in ottave e tutto il resto. Senza spartiti e senza nessun supporto elettronico, erano tempi di bobine e di valvole. Che invidia rispetto alla mia versione a cazzo. L’ho sentito fare una volta anche una serie di ragtime di Scott Joplin e per prendersi in giro si era messo un sigaro in bocca come i pianisti del far west, quelli che non dovevi sparargli addosso ma avrei potuto anche farlo. D’altronde per la musica bisogna essere portati, anche io ho chiesto un passaggio ma probabilmente sono stato abbandonato all’autogrill. Era una battuta, spero l’abbiate capita. In quel periodo io e l’amico batterista siamo andati a trovarlo proprio nello stesso studio un sabato pomeriggio. Con la scusa di un giubbotto dimenticato ci siamo proposti per una jam session. Mi piaceva quel posto perché era tutto ricoperto di moquette verde e aveva le pareti grigie e, a differenza della nostra cantina da musicisti poveri, non puzzava né di umidità e né di fumo. Ricordo che ci siamo divertiti con tutto quello che conoscevamo delle Orme e della PFM, lui si era stupito che due new wave comunque se la cavassero con roba così superata. Dopo qualche mese, come tutti quelli che avevano velleità di successo in campo musicale, aveva però lasciato la provincia addormentata e si è trasferito a Milano. Noi invece eravamo rimasti lì e dalla noia ce la prendevamo con tutto e tutti, erano gli anni di Tondelli e potete immaginare il perché e ciò che accadeva di conseguenza. La cosa più divertente c’era capitata proprio ancora in quella sala prove rivestita di  moquette verde. Siamo capitati lì per caso, c’era una pila di ellepi freschi di stampa di un gruppo metal locale – noi il metal giustamente lo odiavamo – e mentre nessuno badava a noi ci siamo  messi a firmare con le chiavi di casa sia il lato A che il lato B per poi rimettere i vinili violati nelle copertine. Nel frattempo la leggenda vivente, quello che aveva seguito un corso di basso autodidatta e in una settimana sapeva fare le parti dei Weather Report e si era trasferito a Milano, era stato ingaggiato da un gruppo dal nome oltremodo discutibile. Aveva accettato giusto per fare serate e potersi mantenere con la musica. Buttare via il tempo in piccoli vandalismi da idioti nichilisti come ostacolare la carriera di capelloni tamarri ricordo che al confronto ci era sembrato, tutto sommato, un passatempo più dignitoso.

4 pensieri su “i panda, come nome per una band, non è un granché

  1. 1. l’ho capita
    2. una sala prove che non puzza di sudore non può essere considerata davvero una sala prove
    3. il metal non si odia “giustamente”
    4. saputo poi niente delle copie autografate?
    5. non posso concludere con un numero pari quindi ho aggiunto un ulteriore punto

  2. “D’altronde per la musica bisogna essere portati, anche io ho chiesto un passaggio ma probabilmente sono stato abbandonato all’autogrill”
    Potrei inaugurare un frasario d’emergenza con questa! 😉

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