con tutte quelle bollicine

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In una lettera che scrissi al mio migliore amico di allora dalla consueta località di villeggiatura estiva, tra la quinta e la prima media, mi meravigliavo di un prodigioso passo avanti della tecnologia. Ogni volta in cui mi accingevo a mettere le cento lire nella fessura di uno dei videogiochi in auge ai tempi di cui non ricordo il nome – era un razzo che si muoveva lungo un percorso tipo Pac Man su sfondo azzurro cancellando i pixel bianchi sui quali doveva transitare – notavo che in alto, nella schermata, veniva visualizzata una parolaccia. La prima volta c’era scritto “puttanazza”, una seconda volta lessi “bagascione”. La novità di cui misi al corrente il mio migliore amico via lettera era che i videogiochi scrivevano le parolacce. Una notizia strabiliante, tanto che il mio migliore amico, così mi scrisse nella sua risposta la settimana successiva, fu sorpreso di questa nuova era delle macchine coprolale ma dubitava trattarsi di un particolare inventato dal sottoscritto. Come potete immaginare, la funzionalità di immissione del nome del giocatore una volta stabilito un record esulava dal mio ragionamento sequenziale, soprattutto io non ero ancora riuscito a impormi con un punteggio elevato né mai mi successe in futuro, sono sempre stato piuttosto mediocre nelle attività ludiche virtuali. Anche in quelle reali, già. Ma non è qui che volevo arrivare.

Riflettevo sulla personalizzazione degli oggetti con i nostri nomi o con i nostri pensieri e mi è venuta in mente quell’occasione sprecata, laddove presentandosi la possibilità di marchiare un qualcosa con i veri dati personali tale da diffondere la propria fama di campioni di asteroidi abbattuti o marziani esplosi, subentra quel lato zoticone che in noi e che ci fa scrivere volgarità perché vederle stampate ci riempie di orgoglio. E riflettevo sulla personalizzazione degli oggetti perché è da un po’ di tempo che noto lattine e bottiglie di Coca Cola che al posto della marca hanno stampate altre parole. Nomi, soprannomi, epiteti, scritti con il celebre font che è tutto uno svolazzo. Così mi sono informato e ho letto che si tratta di una vera e propria campagna denominata “Condividi una Coca Cola”, che oltre a prodotti già pronti con nomi e modi di chiamare gli altri più comuni comprenderà una sorta di operazione sul campo, un road show in cui chiunque potrà chiedere una personalizzazione ancora più puntuale.

Mi ha lasciato perplesso però vedere che, oggetto di questa campagna, ci sono anche i bottiglioni da più litri che si vendono al supermercato, e pensavo che condividere questi quantitativi con qualcuno non è il massimo, nel senso che alla fine ingurgiti un litro di bevanda gassata a testa e poi passi ore e ore in allegria a suon di rutti con la persona a cui hai dedicato il bottiglione. Ora, per fortuna non bevo Coca Cola, non mi piacciono molto le bevande dolci gassate, piuttosto prendo una pinta di birra, ma personalizzare un prodotto che poi ti riempie la pancia di aria non è consigliato se vuoi bene alla persona con cui vuoi condividere l’esperienza. Almeno, se me ne regalassero una con su il mio nome o anche il nick plus1gmt mi sorgerebbero dubbi sul rapporto che ho con la persona che ha avuto l’idea. Proverò però a chiedere se è possibile scrivere le parolacce sulle lattine, magari quel mio migliore amico che non vedo da allora sarebbe altrettanto meravigliato di bere una Coca Cola da condividere con “Stocazzo”.

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