che cosa troviamo di noi stessi visitando posti che non conosciamo

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I francesi si sono fatti internazionalmente la nomea di sboroni – che da quelle parti si dice grandeur – da quando Mimmo ha visto una manciata dei loro figli festeggiare a champagne bevuto nelle scarpe coi tacchi la fine delle superiori in un locale di Parigi. D’altronde non vedo perché non possa essere plausibile il fatto che grandi eventi della storia possano dipendere da certe nostre piccole azioni, c’è tutta una teoria basata sulla superstizione, di cui comunque nessuno ad oggi si è impegnato a dimostrarne l’infondatezza, secondo la quale si attribuiscono al nostro comportamento conseguenze ben più ampie del raggio di azione di ciò che le ha scaturite, secondo una legge di causa effetto difficile da spiegare. E a Mimmo non è stata la prima volta che gli è capitata una cosa del genere. La seconda (questa è sicuramente vera perché ero con lui) vede come protagonisti intellettuali del calibro di Vladi al bar Testa compiere la stessa finezza con due carampane piuttosto disinibite e, a dire la verità, non so se sia peggio l’atto dell’ingurgitare alcolici da supermercato da una calzatura di Pittarosso sfilata a una sconosciuta oppure rimettere il piede in una soletta impregnata di liquido e passare il resto della serata con la puzza di alcol addosso.

Mimmo, che Elisa chiama Bibo perché si conoscono dai tempi dell’asilo nido, riesce a personalizzare con un modo tutto suo vari aspetti colti nei suoi viaggi fuori dall’Italia. Di Londra, per dire, ha riportato che tutti parlano molto bene l’inglese e la gente che vedi in giro ti dà l’idea di fare cose molto interessanti, il che può sembrare sciocco ma se ci pensate ha un suo fondamento. Di Gabriella, che ha la mamma nata e cresciuta negli Stati Uniti e che quindi, a suo modo, costituisce un’esperienza all’estero di pari dignità, vuole conoscere a tutti i costi in che lingua pensa. Ma i pensieri hanno una loro struttura grammaticale tale da poter essere verbalizzati o, nel momento in cui li espliciti, perdono la loro forma di materia grezza e si banalizzano per l’assenza di parole corrispondenti ai concetti primitivi per i quali sono stati formulati? Secondo questa logica ogni individuo potrebbe costituire un sistema a sé ed essere al centro di qualcosa. Mimmo se ne è accorto perché, quando visita i musei non solo di Londra e di Parigi senza guida tanto, a noi italiani che abbiamo gli Uffizi, nessuno ha da insegnare nulla, si mette a cercare nei volti dei dipinti, soprattutto quelli affollati, qualcuno che conosce come se i lineamenti degli uomini potessero essere pattern facilmente riproducibili e, prima o poi, qualche combinazione nella storia si ripetesse. Questa teoria ha comunque un suo fascino e, da quando l’ha condivisa con me, cerco anch’io di fare lo stesso.

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