Il pazzo che fa la spola ogni momento tra casa sua e la rotonda qui sotto parla da solo, ma non è questo il punto visto che il soliloquio è una pratica che ha dato numerose soddisfazioni anche al sottoscritto. Dice che è tutto finito, tutto finito, e poi attacca con una solfa inventata di sana pianta. Prima aveva i capelli lunghi come Gesù Cristo e ora, così mal rasato, sembra uscito da un documentario sulla guerra nell’ex Jugoslavia. Se gli dai corda è finita. La figlia della proprietaria del bar all’angolo lo allontana sempre in malo modo. Gli operai che stanno stendendo la fibra per il palazzo in costruzione in fondo alla via, prima di conoscerlo, in pausa pranzo lo facevano sedere con loro pensando che fosse una specie di scemo del paese ma di quelli buoni. A dir la verità, io di cattivi non ne ho mai conosciuti.
Mi ha chiesto da accendere qualche sera fa, mentre smistavo la differenziata. Sosteneva che sono tantissime le cose a essere cambiate. Così tante che non riesce a farle stare tutte in una sola pagina dell’indice e quando gli viene chiesto di raccontare la storia della sua vita deve premere il pulsante torna indietro più di una volta. Ha addirittura tirato fuori delle linee guida di autovalutazione sull’usabilità, quelle faccine con lo smile o con il broncio che servono per indicare se è meglio o se peggio, se si preferiva il prima o il dopo.
Allora ho gettato l’ultima latta di pomodori vuota e pulita – io le lavo, che cosa credete – e gli ho dato ragione. Gli ho detto che a vederle tutte insieme le cose assumono quella consistenza di massa indistinta che nemmeno a occhi chiusi, come fanno i bambini per isolare il senso che devono esercitare, è possibile coglierle. Dentro si gonfia quell’airbag che protegge dal futuro ma ti schiaccia contro il presente, ti salva la vita ma poi devi cambiare il modo che hai di guidarla. Ma non preoccupatevi, nemmeno lui ha capito che cosa intendevo. Mi ha risposto che la patente gliel’hanno ritirata da un pezzo.