sotto la via lattea – day #23

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Se siete consumatori di serie tv per ragazzini su Netflix avrete notato che è curioso che degli adulti siano in grado di divorare, nel più famelico dei binge watching, proprio delle serie tv per ragazzini, questo anche prima della clausura da pandemia. Per farmi capire, è come se mia mamma e mio papà, nel 77, si fossero precipitati a casa ogni giorno in fretta e furia dal lavoro, per non perdersi alle 19:20 una puntata di Orzowei.

Ci sono diverse chiavi di lettura di questo fenomeno. Non abbiamo risolto del tutto i nostri problemi con l’adolescenza? Siamo stati ragazzi felici in un momento storico bellissimo e proviamo una inappagabile nostalgia? Direi tutte queste cose insieme, con l’aggravante del fatto che certe serie per ragazzini trattano contenuti che permettono ai grandi di riconoscersi in modelli genitoriali alle prese con le complessità di essere madri e padri nella contemporaneità. Storie che consentono anche di saperne di più dei propri figli, o anche di conoscere meglio noi stessi quando eravamo adolescenti, a partire dalla sensazione di sentirsi diversi dal resto del mondo, che è poi lo stato d’animo più comune in cui si sente ogni individuo adolescente in quel complicato periodo della vita. Un tema che, sempre più, è reso attraverso la tecnica narrativa del superpotere come arma di emancipazione, valvola di sfogo per la rabbia verso la propria debolezza e difesa nei casi di bullismo, il tema del momento.

Non so dirvi se questo piano interpretativo sia colto dai telespettatori più giovani. Avvezzi alla narrazione marveliana e di quella roba lì a stelle e strisce grondante di effetti speciali, di gente che fa cose pazzesche ne avranno fin sopra i capelli. Nei protagonisti delle serie tv, invece, sono le fragilità a costituire la forza con cui, alla fine della storia, vincono su tutto e tutti, il che è un bel messaggio. Nell’ultima che ho visto, “I Am Not Okay with This”, si parla di confusione sessuale, resa come capacità di far esplodere teste o devastare biblioteche o foreste con la sola forza del pensiero.

Serie peraltro che mi ha lasciato un po’ così, a parte la divertente citazione del film “The Breakfast Club” con i ragazzi costretti a stare assieme a scu0la in punizione. Il fatto è che oramai la fiction è satura di stereotipi, non solo nei personaggi. La formula vincente delle serie per ragazzini su Netflix – pensate per essere viste soprattutto dai loro genitori – è l’ambientazione negli anni 80, traslata intelligentemente ai giorni nostri.

Mia figlia riconduce il motivo al fatto che gli anni 80 costituiscano un vero culto per la loro generazione, anche se si tratta di un decennio già di culto a metà anni novanta. Io invece sostengo che produttori e sceneggiatori vogliano fare il possibile per far sentire a proprio agio i ragazzi degli anni 80, e cioè me e quelli come me, in quanto loro stessi ragazzi degli anni 80. Ci avrete fatto caso. Sedicenni che giocano con il cubo di Rubik e guardano tv a tubo catodico ma usano smartphone per comunicare tra di loro. La moda di allora attualizzata secondo i canoni del nuovo secolo. Auto vintage dotate di mangiacassette per ascoltare le compilation su nastro delle canzoni preferite mentre ci si reca al ballo della scuola.

Un minestrone spazio-temporale in cui la musica facilita le cose: gli artisti di oggi pagano un pesante tributo agli anni 80, e nelle serie tv di questo tipo vi sfido a distinguere un brano d’epoca da uno registrato oggi. La colonna sonora di “I Am Not Okay with This” attinge a piene mani da quella dell’archetipo di questo genere cinematografico, il film “Donnie Darko”, a partire da “The Killing Moon” degli Echo & the Bunnymen. Peccato che manchi la splendida “Under the Milky Way” dei The Church. Dovete fare attenzione, però. “Under the Milky Way” è uscita nell’88, quando gli anni 80 non ne potevano già più degli anni 80 ed eravamo già tutti proiettati verso il decennio a venire, un errore fatale di cui ci pentiamo ancora oggi, mentre guardiamo serie tv ambientate negli anni ottanta. A proposito, vi siete mai chiesti perché in “Under the Milky Way” ci sia un assolo di cornamusa?

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