lettere e testamento

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Prima che la tecnologia ci esponesse alle brutte figure in tempo reale attraverso l’Internet che ben conosciamo, un’era coincisa (nel mio caso) con una periodo della mia vita in cui – studiando a scrocco dei miei genitori – avevo tempo da perdere, era diffusa tra gli esseri umani più sensibili l’usanza di coltivare e nutrire rapporti con il prossimo per via epistolare. Un passatempo decisamente time-consuming, se pensate che ciò comportava:
– avere delle cose da raccontare e, nel caso, pensarci scrupolosamente prima
– scrivere la lettera in brutta copia per organizzare al meglio i contenuti e limare la forma
– copiare la lettera in bella copia
– rileggerne il testo
– piegare e imbustare i fogli
– uscire di casa per procurarsi i francobolli e dirigersi alla cassetta della posta.

Se noi boomer presuntuosi vogliamo infatti sottolineare il prima e il dopo rispetto all’avvento dei socialcosi, oggi non si fa altro che:
– scrivere di getto anche se non si ha nulla da dire; l’importante è esserci
– non preoccuparsi della forma, perché qualunque piattaforma di videoscrittura (come si diceva ai tempi degli M24) ti sottolinea in rosso le parole che ritiene sbagliate
– comunque premere invio senza rileggere, tanto il destinatario non si accorge dei refusi e poi nella comunicazione due punto zero è ammesso di tutto e di più
– il tutto dal divano di casa propria e a costo zero, o comunque compreso nel contratto della fibra quindi ammortizzato da mille altri servizi coperti dalla connessione a Internet
– per ricevere poi una risposta qualche secondo dopo, e il gioco si esaurisce così in quattro e quattr’otto.

Io spedivo lettere quando mi sentivo innamorato, spedivo lettere per convincere la destinataria delle missive a fare altrettanto, spedivo lettere per dire cose importanti ai miei amici, spedivo lettere per chiedere informazioni, spedivo lettere per acquistare dischi a distanza, spedivo lettere per comunicare decisioni ed esprimere preferenze, spedivo lettere per parlare del più e del meno, mettendo in conto che le risposte sui temi del più e del meno sarebbero arrivati almeno due settimane dopo. Come minimo. Spendevo un capitale in francobolli ma, soprattutto, calcavo con il Tratto Pen i fogli che si riempivano di solchi la cui profondità era direttamente proporzionale alla passione con cui mi dedicavo alla stesura del testo. Di alcune lettere non ho mai più avuto risposta, ad altre non ho mai risposto e ho ricevuto diversi solleciti a rispondere. Il tutto lungo settimane, mesi, anni. C’era addirittura una rubrica su Topolino che metteva in contatto i ragazzi che volevano intraprendere rapporti di corrispondenza. Amici di penna. Qualche amicizia l’ho sviluppata lì. Che romantica ingenuità, non trovate?

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