controllo elettronico della velocità

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Al ritorno dalle vacanze sono spuntati due nuovi cartelli lungo il pezzo di superstrada che percorro andando al lavoro, cioè a scuola, in entrambi i sensi. C’è la silhouette di profilo di un poliziotto e la scritta controllo elettronico della velocità. Il limite è 90 all’ora in un tratto e poi 70 quando la superstrada termina nella provinciale verso Novara, all’andata. Al ritorno, ovviamente, i cartelli sono invertiti. Da quando li ho notati, e per fortuna li ho notati che in questo periodo ho la testa per aria, rispetto fedelmente l’andatura imposta, giacché fino a poche settimane fa mi facevo trascinare nell’anarchia degli altri automobilisti. Dopo i cartelli sono stati installati degli scatolotti comprensivi di dispositivi molto somiglianti a delle telecamere, e oggi c’erano gli omini con i laptop collegati che stavano attivando il tutto. Da domani, quindi, dovrò concentrarmi una volta di più mentre guido verso la prima ora di lezione. Ascolto il giornale radio oppure mi sintonizzo su Lifegate, almeno finché non sento la voce di Ezio Guaitamacchi che presenta il suo blues di merda. Al ritorno, invece, il rischio è di non uscire in tempo dalla trance in cui piombo dopo ore di bambini di sette anni in classe, quest’anno costretti nei banchi con la mascherina e quindi doppiamente pericolosi. Come aveva previsto una collega con molta più esperienza, dopo una giornata in cattedra si ha solo voglia di spegnere tutto, di stare in silenzio e di evitare qualunque tipo di relazione con altri esseri umani dotati di capacità verbale. Mentre osservavo i tecnici al lavoro mi sono ricordato che avevo due libri presi in prestito in biblioteca da ritirare, tra cui “Ohio” di Stephen Markley che tutti mi dicono sia strepitoso. Ecco. Quando rientro a casa dopo il lavoro ho bisogno solo di due cose: dormire una mezz’oretta sul divano, quindi sospendere tutto e mettermi a leggere. Trasferirmi in un altro mondo di cui non sono io il responsabile e in cui devo solo fare da spettatore.

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