scrivere in 3D

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Nutro un’attrazione smodata per i libri pop-up per bambini perché lo trovo un concept paradossalmente affascinante, se ci pensate. Le parole e i disegni, in condizioni normali, si stampano a due dimensioni. Forse un giorno, in un futuro alla Blade Runner, ci saranno le stampanti 3D di storie, ologrammi con effetto presenza che sprigionano i personaggi dei romanzi fuori dalle pagine in una sorta di finzione aumentata, passatemi il termine, ma niente a che fare con il digitale. I libri pop-up in cartone sono una realtà, esistono da sempre e lasciano i cinquantenni mocciosi come me a bocca aperta. Si tratta di una passione che coltivo sin da da piccolo ed è appagante, quando ne mostro uno ai miei bambini, osservare lo stupore che prende vita sui volti, una reazione testata già nella mia precedente carriera di padre, in barba alla concorrenza delle tecnologie oled e qled.

Sarà per questo che, quando l’argomento lo consente, faccio creare figure che saltano fuori in qualche modo dal quaderno. Qualche esempio? Animali che spalancano la bocca per definire la classificazione in base a ciò di cui si nutrono e, soprattutto, geometria solida. Ho fatto il cubo e il prisma in classe dando le indicazioni con i quadretti per disegnarlo al meglio su un foglio a parte per poi colorarlo, ritagliarlo, incollarlo e ricomporlo. L’attività è proseguita con la richiesta di realizzare un parallelepipedo a casa partendo da una scatoletta di cartone di qualunque prodotto. Per esemplificare ho mostrato in classe la confezione vuota delle mie pastiglie per l’ipertensione, anche se a prima vista non sembrasse forse la cosa più appropriata. Ho pensato che passare il messaggio di rovistare nell’armadietto dei medicinali per i compiti del weekend andasse a scapito della privacy delle famiglie. I problemi di salute sono top secret e non ne ho mai capito il perché, come se fosse colpa mia e mi dovessi vergognare se ho la pressione alta.

Comunque la rappresentante mi ha fatto sapere che non tutti i genitori hanno capito bene l’attività che i figli avrebbero dovuto svolgere. Quando c’è qualcosa che non va sul lavoro il mio approccio è di pensare – come prima cosa – che sia colpa mia. Ho ricondotto così ogni eventuale equivoco alle indicazioni che ho scritto alla lavagna da ricopiare sul diario. Andavo un po’ di fretta e ho usato il verbo esplodere in modo transitivo, forse impropriamente. Si dice, infatti, “esplodere un intero caricatore di colpi contro qualcuno”, ma “esplodere un parallelepipedo” può risultare inappropriato. Avrei dovuto girare la consegna: “cerco una scatolina di cartone in casa e ricreo un parallelepipedo esploso sul quaderno seguendo l’esempio delle figure realizzate in classe”, ma non mi sarebbe bastata la lavagna intera e poi era già il nostro turno per scendere in mensa.

Però sono certo che, malgrado le indicazioni riportate con il gesso, quanto ho spiegato a voce sia stato pienamente inteso dai bambini. Il problema è che i genitori non danno granché retta ai loro figli, non si fidano per nulla della loro capacità di riportare qualcosa detto da altri e, soprattutto, si ostinano a metter becco in quello che i bambini dovrebbero portare a termine in autonomia. La mia rappresentante si è lanciata così in un vero e proprio audio-tutorial sul gruppo Whatsapp e mi assicura che tutto è filato liscio. Lunedì così vedrò il risultato della manualità dei padri e delle madri dei miei alunni, ma va bene così. C’è un patto di corresponsabilità tra scuola e famiglie su ogni sito scolastico che, probabilmente, comprende anche la cogestione didattica.

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