maltempo

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Io sono fatto così. Appena sveglio clicco sulla lente di ingrandimento e, alla voce documenti, avvio la ricerca di una preoccupazione che mi sovrasti. La trovo e, come si fa con i croissant surgelati nel microonde, la tengo al caldo durante le operazioni di routine – la doccia, la barba, la colazione – in modo da assaporarne la fragranza quando salgo in macchina per andare al lavoro. Per fortuna si tratta di piccole cose. Devo chiamare Tizio, devo rispondere alla mail di Caio, mi tocca sollecitare Sempronio e via così. E quando non individuo nulla o la preoccupazione, nella sua fase di scongelamento, si è sgonfiata rivelando la sua inconsistenza – diamine, ero sicuro di averle prese ripiene al cioccolato – seguo le ramificazioni di qualche nota che mi sono appuntato per le giornate in cui il palinsesto di ansie è vuoto. Martedì scorso però qualcosa è cambiato e i più superstiziosi di voi penseranno che me la sono tirata o che c’entra qualcosa o il karma perché, al risveglio, ho trovato un bel po’ d’acqua sul pavimento del salotto. Durante la notte c’era stato un discreto temporale con piogge torrenziali. In più, il mio condominio è nel pieno dei lavori di ristrutturazione – il famoso 110% – e con un tempismo perfetto si trova al massimo della vulnerabilità per alcuni interventi strutturali. Al quarto piano ci sono state vistose infiltrazioni, e così, una volta accertato che per fortuna non avevo subito danni agli arredi, mi sono guardato un po’ in giro per rintracciare sui muri l’origine della perdita senza trovare alcunché. Ho pensato immediatamente alle immagini delle vittime delle alluvioni che passano al TG ogni autunno da quando il clima, in Italia, è radicalmente cambiato mostrando l’inadeguatezza del nostro territorio alle conseguenze del surriscaldamento del pianeta. Gente che, munita di secchi, stracci e badili, svuota i propri ambienti sommersi dai fiumi esondati. Il mio umore, in verità, non è più lo stesso da quando il palazzo in cui si trova il mio appartamento è oggetto dei lavori di riqualificazione energetica. Quando mi appresto a rientrare lo vedo sventrato, infermo, quasi privato della sua anima, e credo che qualunque specie animale provi lo stesso sgomento osservando la propria tana violata. Sono molto affezionato alla casa che ho acquistato insieme a mia moglie perché da vent’anni mi offre riparo. Non credo che me ne andrò mai, che mi sposterò in centro come piacerebbe a mia figlia per poter vivere più in prossimità dei suoi amici, che un giorno cercherò qualcosa di più piccolo o di più grande. Dopo aver asciugato la pozza che si era inspiegabilmente formata tra divano e libreria senza però bagnare nulla – forse nella notte si è allagato il balcone ed è entrata dell’acqua dalla porta finestra, non saprei dare altre spiegazioni – mi sono recato come sempre al lavoro, consapevole di ciò su cui avrei riflettuto ascoltando la radio, lungo il tragitto. È stato sufficiente adocchiare i manifesti elettorali al primo semaforo, lungo il percorso, per ottenere una rielaborazione della scala delle priorità. È subentrata, infatti, una preoccupazione ancora più grande della casa in cui vivo, esposta a rischio allagamento. Quella di appartenere a uno stato e a un tempo guidato da una premier e da una maggioranza post fascisti. Il mio pensiero è andato immediatamente al regime, alla guerra, agli appartamenti delle persone come me bombardati e alle peggiori condizioni di vita che mai avrei pensato si potessero verificare.

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