fino all’osso

Standard

La mia collega Maria si ricorda benissimo di me mentre mi rammarico, lo scorso anno e più o meno di questi tempi, di non aver ancora imparato a far fruttare i mesi estivi, quando cioè le scuole sono chiuse e noi insegnanti ci godiamo i quattro mesi di ferie o forse più che immeritatamente ci spettano. «È vero», sostiene Maria, «lo avevi detto anche l’anno scorso».

Probabilmente quindi mi ero già lamentato della stessa cosa un mattino dell’ottobre passato e posso scommetterci che ero vestito proprio come oggi. D’altronde il ricambio del guardaroba della mezza stagione occupa sempre la posizione più bassa tra le priorità. Si tratta di pochi indumenti che indossiamo per una manciata di giorni, tra il caldo e il freddo, che non si sgualciscono mai proprio perché li mettiamo poco e prima di comprarne nuovi ci pensiamo due volte. E sicuramente, quando l’ho detto, eravamo nella stessa posizione: io seduto sulle gradinate del campetto di basket, a godermi il sole, e lei con gli occhiali scuri in piedi pronta a tornare all’ombra archiviata la pratica della conversazione del più e del meno dell’intervallo post-mensa, a malincuore esposta a quel calore illusorio, malcelato solo in parte dagli aliti della brezza autunnale, pronta a rifugiarsi in un punto più omogeneo sotto il profilo delle condizioni meteo percepite. Tutti e due, insieme al maestro della 4C, a parlarci messi di profilo, con gli occhi rivolti ai bambini che sono tornati a mescolarsi tra classi e che hanno ripreso a contagiarsi anche al di fuori della propria bolla di sicurezza. Intorno a noi il foliage, le castagne matte in terra, gli scoiattoli che sfuggono alla furia esploratrice dei nostri alunni, i battibecchi tra quelli che giocano con la palla di spugna sul fatto che sia fallo o no. Alla mia collega Maria d’ora in poi rimarrà impresso tutto questo, come la scena di un film, nemmeno fosse il finale di Casablanca.

E vedrete che verrà fuori che devo aver condiviso quella considerazione anche alla ripresa dell’anno scolastico precedente allo scorso, e non va per nulla bene perché non solo non mi piace passare per un vecchio rincoglionito che ripete le cose e mi offendo se qualcuno tiene a mente certi particolari che io ho già categorizzato come errori grossolani e che eviterei che fossero oggetto di conversazione, ma significa che quello di non essere in grado di organizzarmi durante i mesi estivi è un problema che si ripresenta – e so benissimo che si ripresenterà – e non ho ancora preso provvedimenti per trovare una soluzione, con l’aggravante che rimane impresso tra i colleghi in quanto, evidentemente, quello della pausa tra un anno scolastico e quello successivo costituisce un tema centrale nella vita di un docente, il vero core business, quasi come i sindacati o pretendere di ridurre al massimo le ore buche quando gli incaricati a preparare l’orario si mettono al lavoro o considerare i PDF sacri e inviolabili, pena il licenziamento e conseguente ricorso al TAR.

E se ne parlo qui è solo perché ho la coscienza sporca, so perfettamente di essere in torto. E tra gli svariati modi di buttare il via il tempo facendo cose senza fare nulla, un paradosso tipico dell’Internet, quest’estate ho aumentato a dismisura il mio interesse per l’archeologia. Una passione che, se siete di genere maschile come me e conseguentemente a rischio ossessività nella pratica degli hobby, è meglio lasciar stare perché soffermarsi su troppe foto di scheletri umani dell’antichità, alla lunga, porta alla depressione. Riflettere su ossa e teschi ricomposti o lasciati in mostra nella posizione in cui sono stati sepolti a suo tempo o addirittura colti nell’ultimo sforzo con cui il corpo che sorreggevano ha tentato un’estrema difesa dal cataclisma che lo ha inghiottito o incenerito ci permette di calcolare di quanti miliardi di persone di cui ci resta solo un mucchio di spoglie anonime non si sappia nulla. Niente. Nemmeno un ricordo, un’epigrafe, un nome, un’iniziale, un ciondolo al collo o un corredo funebre o un attrezzo rinvenuto in prossimità. D’altronde, se ci pensate bene, quanti esseri viventi animali e vegetali ci hanno già lasciato le penne dai tempi del big bang? La terra è una palla ultra-millenaria abitata e percorsa da entità semoventi e autonome tutte soggette a un meccanismo a tempo e il senso di questa cosa non si è ancora capito, sempre che ci sia qualcosa da capire. Voglio dire, perché ci interessa il fatto che oltre a noi c’è stato un prima e ci sarà un dopo?

Così mi permetto di mostrarvi questa foto. Vedete? Questo sono io a metà luglio, seduto alla scrivania con il pc acceso, solo in casa. Mia moglie è al lavoro. Mia figlia è in giro per l’Europa con le sue compagne di classe, tutte munite di interrail, a godersi le vacanze tra la maturità e l’università, le ultime in cui ci si può permettere di non fare un tubo. Anzi no, se sceglierà di fare l’insegnante avrà tutta una vita davanti di mesi estivi da buttare via. Dicevo, nella foto mi vedete al computer senza aria condizionata nella stagione più torrida dai tempi del neolitico, con il condominio impacchettato per i lavori del 110% e i teli esterni che faranno anche ombra ma impediscono a qualsiasi materia allo stato aeriforme – a partire da ciò che respiriamo – di circolare liberamente. Se ingrandite il monitor noterete una pagina Facebook con una foto scattata negli scavi di Ercolano e, allargando ancora, degli scheletri che, a loro modo, chiedono di essere risparmiati. Evidentemente nessuno li ha ascoltati.

Il fatto è che ci sono cose ben più gratificanti che pensare a cosa siamo e da dove veniamo ispirati da un mix di osteociti e calcio di duemila anni fa, per di più sporchi di terra.

Qui ci sono parchi, vie con negozi, musei e chiese da visitare. Biciclette da lanciare lungo corsie pensate ad hoc per i temperamenti più ecologisti e opportunità di ogni tipo per il turista a km zero. Basta saper cercare le informazioni giuste e organizzarsi. Trovare in rete orari e occasioni da cogliere e imbastire cronoprogrammi e organizzarsi. Scovare eventi, iniziative, incontri e qualunque tipo di happening a cui presenziare e organizzarsi. Individuare cinema e teatri e persino mostre all’aperto, mercatini e bancarelle di quartiere, conferenze e festival e fiere e organizzarsi. Setacciare il territorio in cerca di scorci, attrazioni, street art, archeologia industriale, riqualificazioni di quartiere e organizzarsi. E al limite anche amici che non si vedono da mesi, parenti quasi dimenticati, colleghi ed ex colleghi e semplici conoscenti con altrettanto tempo libero e organizzarsi. Per non parlare dei concerti: acquistare i biglietti, pianificare la trasferta e organizzarsi.

Ecco. Solo una efficace organizzazione del proprio tempo ci tiene alla larga da Internet, da cercare immagini di scavi archeologici con gli scheletri di gente morta secoli fa e da pensare che tra mille anni qualcuno troverà il mio di scheletro, intento a guardare foto di resti umani mentre gli altri insegnanti cucinano peperonate in roulotte parcheggiate dodici mesi l’anno in camping sul lago, o sonnecchiano sotto l’ombrellone di una spiaggia del sud, o ancora meglio visitano luoghi esotici o spingono carrelli tra i saldi del centro commerciale di Arese. Qualcuno, dicevo, troverà il mio, di scheletro, senza sapere che è il mio. Pazienza.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.