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La regola per ascoltare canzoni in classe proposte da loro è che nei testi non debbano esserci parolacce. Ognuno deve studiarsi bene le liriche del brano che intende condividere con i compagni e con il maestro per sincerarsi che non ci siano passaggi poco adatti al contesto, pena il divieto di scegliere musiche per due settimane. Poi succede che qualche parolaccia salta sempre fuori perché ci sono termini che alcuni – e probabilmente di conseguenza anche le famiglie che hanno alle spalle – non considerano inappropriati. Fottere, per esempio. Abbiamo ascoltato insieme “Soldi” di Mahmood almeno una decina di volte e quando si ripresenta quel passaggio lì la classe si divide tra quelli che si sorprendono che la didattica ammetta espressioni così colorite e quelli che invece non se ne sono mai accorti o, addirittura, non sanno cosa significhi. Anche nella versione non censurata di “Zitti e buoni”, altro tormentone degli scorsi anni, c’è una parolaccia grossa come una casa. Il punto è che toccarsi i coglioni e fottere, nel senso di fregare, sono vocaboli sconci ma per modo di dire. Ai miei alunni, esposti ai peggio turpiloqui in famiglia, tra gli amichetti del parco e sui social, dico sempre che le parolacce fanno parte della nostra vita e che sta a noi capire il contesto in cui si possono o non si possono dire e si possono o non si possono ascoltare. Nell’arte sono all’ordine del giorno. Ricordo loro che quando è il mio turno di proporre canzoni scelgo sempre un brano diverso di Caparezza e anche lui, ogni tanto, qualche parolaccia ce la mette, e quando succede ribadisco quello che penso.

La cosa che mi fa sorridere è che, al netto della loro infima conoscenza della lingua inglese che risente del fatto che – a differenza delle passate generazioni – ascoltano pochissima musica angloamericana, quando qualcuno propone successi non in italiano fanno a gara a segnalarmi che, nel brano trap o rap in questione, ci sono parolacce in inglese. A ogni selezione chiedo anche se il video si può vedere o no, per lo stesso motivo di contesto, e quando mi indicano l’alternativa alla clip ufficiale che quasi sempre è il lyric video, ecco stagliarsi ben visibile un fuck ogni tre o quattro parole.

Fuck è una parola che tutti riconoscono come scurrile ma, se poi chiedi il significato, nessuno ha assolutamente le idee chiare. Sono quindi giunto alla consapevolezza che il modo più efficace di insegnare le lingue straniere sia insultare il prossimo o imprecare tutto il tempo. Proprio per questo dovremmo dare meno importanza alle parole e non condannarle ingiustamente. Non è vero che le parole sono importanti. Quando le scriviamo sono segni che lasciano il tempo che trovano, anche se si dice che restano. Quanto le diciamo durano un millesimo di secondo e, se siete un po’ sordi come me, è facile anche che ve le perdiate, le sconcezze altrui. Qualche giorno fa Nicolò ha mostrato il dito medio ai compagni che non lo volevano in squadra. Mi sono arrabbiato moltissimo perché invece il gesto si impone come espressione della ragione o dell’istinto ma in ogni caso si fissa per sempre nell’idea che gli altri hanno di te. Ho detto a Nicolò, la prossima volta che succede, di mandare tutti affanculo. La parolaccia è un petardo che esplode, ronzano le orecchie ma tutto torna come prima, pochi attimi sono sufficienti.

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