venti

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Da ieri in classe siamo in venti, cifra tonda. Fino a due giorni fa eravamo in 19, un inutile numero primo, e non potete capire quante occasioni mancate, per uno che insegna matematica. Nessun esempio a portata di mano per multipli e divisori. E invece avete presente quante possibilità ci sono per imparare le frazioni o formare gruppi di diversa composizione? “Dividetevi in cinque squadre!”, potrò dire d’ora in poi in palestra. Certo, fino alla metà della seconda eravamo in 18 ed era ancora meglio, per via della presenza del 3, e un po’ mi rammarico del fatto che non ci sia nessuna possibilità di arrivare a 24 – il non plus ultra: si divide per due, tre, quattro, sei, otto e dodici – entro il prossimo anno in quinta, anche se il flusso migratorio, che cresce in via esponenziale malgrado le farneticazioni propagandistiche dei fasciofratellistiditalia, potrebbe riservarci delle sorprese. Ne hanno parlato proprio ieri sera al telegiornale.

Comunque vi presento il mio NAI, acronimo che sta per Neo Arrivati in Italia, un ragazzino di quasi 11 anni che ha raggiunto la sua mamma due settimane fa dal Perù. La collega della commissione stranieri me l’ha ufficializzato in corridoio allo stesso modo in cui si chiede in prestito la chiavetta per la macchinetta del caffè. Io credevo che per certe cose ci volesse un minimo di confronto ma poi ho pensato ai chirurghi del pronto soccorso che, in quanto a imprevisti, battono tutti. Era l’ultimo giorno prima delle vacanze, mentre l’inserimento sarebbe avvenuto subito al rientro. Al ritorno dalla mensa c’era già il banco e la sedia in più grazie allo zelo delle collaboratrici che hanno reso finalmente simmetrica la disposizione delle file in aula. I miei alunni mi hanno chiesto dettagli, ma io ne sapevo quanto loro. Fino a ieri, quando NAI è stato accompagnato nella mia quarta dalla bidella.

Il pomeriggio precedente, mentre mi documentavo per allestire una poco credibile slide di benvenuto da proiettare alla LIM, mi è venuto da giocare al gioco del lancio dell’omino giallo di Google Streetview a caso questa volta su Lima che, ho scoperto, è un gioco che non si dovrebbe mai fare con i posti più poveri di quello in cui si vive. Ho viaggiato virtualmente tra le strade sterrate della povertà e l’attesa di conoscere NAI si è trasformata in ansia allo stato puro. Al terrore di comunicare con lui senza capirci – parla solo spagnolo e combinazione la mia fobia più grande è quella delle lingue straniere, cioè vivere una situazione in cui nessuno si sforza di farmi capire cosa dice – si è aggiunto il fattore accoglienza nei confronti di un immigrato a tutti gli effetti. Non solo. Una delle tre informazioni che mi hanno passato è che sembra essere piuttosto chiuso e timido. Le altre due sono che la mamma è qui da un lustro a fare la badante e che l’offerta comprende un fratellino – un po’ più sorridente – che approda alla prima.

Il primo giorno di scuola di NAI non poteva andare peggio, a partire da me da solo che alternavo la presenza in classe con il ruolo di collaboratore tecnico per le prove invalsi della secondaria nel nostro laboratorio di informatica (la rete alla secondaria non regge). In più, l’attività che avevo previsto per rompere il ghiaccio con NAI si è rivelata un vero e proprio fiasco. Delle tre parole in spagnolo sottovoce che ha pronunciato (senza nemmeno togliersi il cappuccio del piumino dalla testa) ho afferrato che gli piace la matematica, così l’ho messo subito sotto con calcoli e problemi (senza testo ma con il disegno) in modo da non forzare con il gap linguistico e consentirli un po’ di tregua con quella specie di esperanto che sono i numeri. Quando l’ho accompagnato all’uscita tra le braccia della mamma prima della mensa – inizierà il tempo pieno solo la settimana prossima – mi ha concesso un mezzo sorriso. Mentre scendevamo le scale gli ho tradotto sul mio smartphone la domanda se si sentisse stanco, dopo quella mattinata nella nuova scuola. Mi ha risposto di sì.

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