i cinquant’anni di Selling England By The Pound

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La prima volta in cui ho ascoltato Selling England By The Pound dei Genesis, l’album che in questi giorni compie mezzo secolo, era la primavera dell’83. Lo so perché ricordo perfettamente quel momento. Facevo la seconda liceo e stavamo andando in gita. Ero seduto sul pullman dietro ad Alessandra, una compagna di classe per cui nutrivo una profondissima devozione che mi spingeva a starle sempre nei pressi, un impulso interrotto poche settimane più tardi, quando si presentò a scuola con una permanente che non le donava per niente. Ma in quell’uscita didattica portava ancora i capelli lunghi e lisci. Fu lei a prestarmi il suo walkman Sony con la cassetta che stava ascoltando dentro senza che nemmeno glielo chiedessi, un gadget da famiglia benestante di cui, come quasi il resto dei compagni, viaggiavo sprovvisto. Indossai con la massima cautela le cuffie, la cui spugna protettiva grigia era intrisa del profumo da teenager che usava lei – poteva essere qualcosa tipicamente anni ottanta come Baruffa o, agli antipodi socioculturali, un retaggio degli anni settanta come il Patchouli. Premetti il pulsante play e una voce nuda, su una melodia priva di un sottofondo musicale, così diversa rispetto al modo in cui la conoscevo io e che era il timbro di “Shock The Monkey” o di “Games Without Frontiers”, mi chiese a bruciapelo se sapessi dirgli dove fosse il suo paese. Poi la canzone continuò, e dopo la sorpresa di quell’attacco mi rilassai, abbandonandomi nell’ascolto sul sedile del pullman. Ecco, se potessi scegliere un superpotere, vorrei poter riascoltare per la prima volta certi dischi, a partire da Selling England By The Pound, e bearmi dell’effetto che fa.

Ma torniamo alla gita. Spostai lo sguardo fuori dal finestrino, intorno a me scorreva una natura approssimativa ma non saprei dire dove stessimo transitando, né rammento quale fosse la meta di quel viaggio. Intercettando alcuni tratti del mio viso riflessi nel vetro, forse in quell’istante maturai gli effetti dell’amore impossibile a cui anelavo e la certezza che quel disco, i cui dettagli scoprii solo in seguito, mi avrebbe accompagnato per il resto della vita anche se, di lì a poco, i miei gusti musicali si sarebbero radicalmente allontanati da quelle sonorità. Qualche mese dopo uscì Construction Time Again dei Depeche Mode, rimasi folgorato e, da allora, anche se i Genesis (con Peter Gabriel) sarebbero rimasti per sempre al vertice della lista delle sensazioni più belle mai provate, la mia estetica musicale non tornò mai più indietro.

Il fatto è che la percezione del tempo che scorre è inversamente proporzionale a quanta vita abbiamo già vissuto, su questo non ci piove. Uno dei pensieri che mi dà così tanta ebbrezza da farmi perdere l’equilibrio – una cosa banale, eh, niente di che, abbassate pure le vostre aspettative – è che l’anno in cui sono nato dista dalla fine della seconda guerra mondiale lo stesso tempo che intercorre dal momento in cui sto scrivendo questa cosa che leggete a quello in cui i Massive Attack pubblicarono Mezzanine, un disco che, per come suona e per la frequenza con cui se ne sente parlare quotidianamente da chiunque, potrebbe essere uscito ieri.

Quei dieci anni – dal 73, anno di uscita di Selling England By The Pound, all’83, la gita con il walkman di Alessandra e la sua cassetta dei Genesis, corrispondono allo stesso arco temporale che intercorre tra l’oggi e, per fare un titolo a caso del 2013, Trouble Will Find Me dei The National, un disco di musica attualissima. Tutta colpa dell’eterno presente che va avanti dall’inizio del duemila e che ha ridotto quasi un quarto di secolo a poche indistinguibili stagioni.

Invece, in quei dieci anni che separavano il mio primo ascolto di Selling England By The Pound dalla sua pubblicazione, era trascorsa un’era geologica. Gli anni ottanta, con uno spoils system culturale mai visto prima, avevano mandato in pensione i capelli lunghi, l’organo hammond, le zampe di elefante, le suite rock con i brani lunghi un’intera facciata e le radio libere, mettendo in pratica un processo di semplificazione culturale a beneficio del pop. Ritmi pari, sintetizzatori, radio edit, poca tecnica e network commerciali con ballerine in costumi striminziti.

Non so dirvi quando acquistai la copia che possiedo tutt’ora di Selling England By The Pound, ma mi piace pensare che, a ridosso della mia svolta dark new wave, il mio me stesso di allora abbia investito la sua paghetta mensile in un disco che sono sicuro di conoscere meglio di qualunque altra cosa al mondo. Posso anticipare qualunque passaggio della sua tracklist, dall’incipit di Dancing with the Moonlit Knight al fade out di Aisle of Plenty. Sapevo addirittura accennare al piano l’intro di Firth of Fifth.

Non vi sto a fare la storia e l’analisi brano per brano di uno dei più importanti prodotti della creatività del genere umano che, come credo, conoscerete tutti a menadito e sono sicuro che sapreste descrivere meglio di me. Vi dico solo che spero che qualcuno mi avvisi quando sto per morire almeno 5 minuti e 19 secondi prima, giusto il tempo per ascoltare, per l’ultima volta, il finale strumentale di The Cinema Show e portarlo con me nell’eternità, o qualsiasi cosa ci sia.

Un pensiero su “i cinquant’anni di Selling England By The Pound

  1. catia

    Grazie. Io pure mi ricordo la pirma volta che ho ascoltato quella domanda nuda. Era di sera, era alla radio, ero da sola e niente sarebbe stato più lo stesso, dopo.

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