ai piatti

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A proposito di reddito di cittadinanza, assegno di inclusione e sussidio di disoccupazione salta agli occhi l’omissione di una qualsiasi forma di riconoscimento economico per chi si occupa dell’accudimento quotidiano della famiglia, la professione universalmente riconducibile a quella della casalinga. Ricoprendo questo ruolo – per quanto sia in grado e giuro con la massima umiltà – per motivi di organizzazione domestica, provo a immaginare quanto tempo-vita non retribuito possano aver dedicato miliardi di donne nella storia dell’umanità. Mia mamma lavorava e in più era chiamata a tenere le fila di un nucleo di cinque persone, in un momento storico e sociale in cui gli uomini erano dispensati dal dover fornire qualunque tipo di supporto se non portare a casa il pane. Nessuno le ha mai corrisposto nulla per tutte le cose che ha fatto per il marito e figli, né come stipendio e tantomeno sotto forma di contributi pensionistici.

Io trascorro così tanto tempo in cucina che, in un sogno, avevo addirittura installato nel piano di lavoro tra i fornelli e il lavabo una console da dj, sulla quale facevo pratica in quella che considero – anche nella vita reale – l’attività più utile che io possa esercitare per il prossimo. Selezionare musica da far ascoltare o ballare a terzi è per me una vera e propria missione, un modo per prendermi cura degli altri e il canale espressivo più immediato per trasmettere il mio trasporto a qualcuno. E il fatto che non mi sorprendeva aver integrato lo spazio in cui mi dedico con amore alla mia famiglia preparando cose buone da mangiare dell’equipaggiamento per mettere i dischi ha un significato inequivocabile.

Mi stupivo così di trovare un analogo set al Nuovo Armenia di Dergano. Facendo finta di bere un drink, sbirciavo dentro al lavabo in acciaio del bar per catturare i segreti del mestiere di un dj di grido fino a quando mi chiedeva di sostituirlo qualche minuto per prendersi una pausa. Il punto è che non si può rimpiazzare qualcuno di cui non si sa che dischi o cd – in quel caso erano flac su un pc – è provvisto. Così, dopo due o tre brani messi a caso, mi trovavo in forte difficoltà nel proseguire la selezione. Se volete sapere com’è andata a finire, mentre l’ultima traccia sfumava, iniziavo a suonare con le mani a tempo la superficie dell’acqua con cui era riempito il vano per lavare i bicchieri. Tenevo un ritmo decisamente trascinante e riuscivo persino a modulare, sfruttando quella tensione superficiale che si insegna in quarta elementare, una melodia adeguata, come se quel dispositivo naturale fosse in qualche modo triggerato con un virtual synth nel computer.

Tutto questo fino a quando il dj residente tornava alla sua postazione, mi ringraziava e proseguiva con il suo spettacolo. Sollevato dall’impegno, ne approfittavo così per recarmi ai funerali privati di Ernesto Assante, cerimonia alla quale non ero stato assolutamente invitato ma di cui mi arrogavo il diritto alla partecipazione come riconoscimento morale per la mia devozione ossessiva alla musica. Potendo vantare una meno che irrisoria comparsata nella storia dell’industria musicale, pochi mesi da meno che turnista in una band sconosciuta nonché fanalino di coda del roster di una major, mi auto-dichiaravo meritevole di far parte del jet set del giornalismo di settore sia per le mie trascurabili recensioni di novità musicali su una webzine amatoriale letta da quattro gatti, sia in virtù delle centinaia di euro che investo nell’acquisto di dischi in vinile. E il bello che non sapevo nemmeno che la famiglia del giornalista scomparso non avesse organizzato una cerimonia vera e propria, ma una sobria formula di funerale laico in un circolo ARCI.

Nella salone delle feste in stile partito comunista anni 70 non c’era l’urna con le ceneri e non era stato nemmeno allestito alcun rinfresco. Cercavo di cogliere tra gli invitati che, in gruppetti sparsi, condividevano aneddoti inerenti il loro comune amico e collega, qualcuno che mi riconoscesse fino a quando mi allontanavo, con lo stesso stato d’animo che ho provato in tutte le occasioni in cui ho presenziato a incontri con gruppi di gente conosciuta online raccolta intorno a una passione comune, forse l’esperienza sociale più fallimentare nella storia dell’umanità e pratica di cui posso considerarmi davvero un pioniere. Solo al risveglio, stamattina, ho valutato se l’associazione tra i piatti dei dj e quelli che assolutamente non bisogna sciacquarli prima di metterli in lavastoviglie – così dice il manuale di istruzioni della mia Miele – sia stata la fonte di ispirazione di tutto ciò o, almeno, una battuta da quattro soldi da sfruttare per un racconto.

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