una giornata particolare

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Oggi è una giornata particolare. Inutile che fai finta di niente: siamo troppo abituati a vederti in abiti civili, come li definiamo noi. D’inverno si nota il tuo sforzo di apparire normale, molto spesso con camicia, pullover a vu o girocollo, quasi sempre jeans scuri o pantaloni di velluto e clarks. Ma è con il caldo che ti vediamo in difficoltà, perché sappiamo che, se fosse per te, indosseresti i bermuda grungi e una delle tue magliette a righe. Roba che hai acquistato almeno quindici o venti anni fa, quando avevi appunto quindici o vent’anni di meno. Ora i capelli grigi, ti sei fatto pure crescere la barba, insomma non puoi più nascondere la tua età, sicuramente più di quaranta. Così, almeno da un paio di estati a questa parte, apprezziamo lo sforzo che fai per non dare l’idea di essere uno di quelli di mezza età che cercano di darsi un tono da giovani ma che risultano patetici e trasandati. Soprattutto in un ambiente di lavoro.

Il problema è che sembri avere un fisico adatto solo a quel genere di abbigliamento, perché con ogni altra combinazione dai proprio l’idea di non essere a tuo agio. Hai il portamento e la postura di chi sta in piedi a chiacchierare di musica alternativa fuori da un club con una birra in mano e una sigaretta nell’altra. Aggiungi poi un guardaroba completamente inadatto alla stagione calda, si vede lontano un miglio che soffri. Non molli i jeans nemmeno a ferragosto, quelli blu scuro con la trama spessa, i 501 per intenderci, scarpe da mezza stagione (non oso pensare alla sofferenza di stare tutto il giorno in quelle trappole), camicie e magliette le più anonime possibili. Sì, passi inosservato ai più, ma chi ti conosce comprende il tuo disagio.

Poi ci sono le giornate particolari, nelle quali è chiaro che sta per accadere qualcosa di importante. D’inverno con un completo di fustagno color tabacco, in estate con camicia azzurra e pantalone di tela blu ma, soprattutto, la cravatta. Ma, ripeto, non è proprio la tua tazza di tè, come direbbe un inglese. Non hai il portamento, sembri un gatto preoccupato che si dimena per sfuggire all’abbraccio di un bimbo un po’ rude. Sembra proprio tu voglia, con un unico gesto, strapparti via quella divisa di dosso e rimettere il tuo involucro confortevole, perfettamente in linea con il tuo modo di fare, tra il dinoccolato e l’imbranato, con le spalle un po’ curve. E oggi, vestito così, è chiaro che stai per incontrare qualcuno, una riunione importante o, lo spero per te, un colloquio di lavoro. Allora, buona fortuna.

le vibrazioni

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[suoneria con uno dei millanta riff degli ac/dc tutti uguali]
– sono in galleria, non so quanto riesco a parlare
– […]
– Si, ti dicevo, sabato ho fatto quel lavoretto di cui ti avevo accennato, ti ricordi? La festa in piscina
– […]
–  No, quello era la festa della birra
– […]
– Esatto. No, qui dovevo fare tipo la presentatrice, fare un po’ di annunci dal palco, oltre a ballare e fare un po’ di pierre e le solite cose
– […]
– Sì. No ma senti. Mi chiama il moroso della mia amica e mi dice se ero libera per fare una comparsata a questa festa in piscina, vestirmi da metallara perché è una festa di bikers. Figurati, ogni tanto qualcosa di diverso, il compenso è buono, c’è il gruppo che suona e devo presentarli, non ho capito se poi c’è una specie di gioco a premi e devo dire le cose al microfono… Va beh, non c’è problema. Insomma che il posto è bello, pieno di ragazzi e ragazze ma anche gente di una certa età, sai i motociclisti come sono. Hai presente il cantante dei Motorhead? Tutto in tema Harley Davidson, nel parcheggio ce n’erano centinaia bellissime, dentro vicino alla piscina c’era il gazebo con la birreria e la tipa metallara che spillava medie e a non finire.
– […]
– Non ne ho idea, sicuramente il posto è grande e merita. No ma senti. Ero con Grazia e ci siamo fatte un giro, la musica era altissima, ma a un livello assurdo. Poi mi chiama l’organizzatore e mi da un foglio, con il nome del gruppo. Vado a presentare il gruppo, il digei toglie la musica, prendo il microfono e faccio l’annuncio. Non ho fatto caso ai feedback, un po’ perché ero emozionata, un po’ avevo appena bevuto una birra.
– […]
– Nono, eehh… un sola, mica…
– […]
– Purtroppo mi ricordo. Vabbè, dicevo, non ho fatto caso subito ai feedback della gente, ma sentivo che c’era qualcosa di strano. Insomma, il gruppo suona, e mentre prima la musica la metteva il digei e non c’erano pause tra un pezzo e l’altro, questi suonano e i pezzi finiscono. E quando finiscono i pezzi c’è un silenzio strano, ma ancora non ci faccio caso più di tanto, ero con Dani e…
– […]
– Sì proprio lui, si chiama Dani. Insomma il gruppo finisce di suonare, nel frattempo il tipo mi chiama sul palco per fare un po’ di ringraziamenti. Così mentre i musicisti mettono via gli strumenti, urlo un “e ora facciamo tutti un grande saluto agli Hell’s Angel di Novara”. Vedo tutti che si sbracciano, qualche applauso, ma pochissime voci. Lì mi sono preoccupata, vado nel panico e guardo l’organizzatore. Ma vedo che non ha capito perché mi sto preoccupando. Vado con un altro saluto, stessa scena.
– […]
– Ma no, eehh magari, peggio. Cioè peggio, è incredibile. Senti. Scendo dal palco, e vedo un tipo che parla a gesti con un’altra, e lì mi viene il dubbio. Mi guardo intorno. Tutti si esprimono allo stesso modo, fanno gesti e parlano solo con le espressioni del volto. Uno addirittura vedo che si interrompe, fa un’espressione di meraviglia di fronte a una ragazza che lo sta raggiungendo, e fa l’inequivocabile gesto di quando non vedi un amico da secoli. L’organizzatore viene vicino. “Non ti avevo detto che era un raduno di bikers sordomuti”?

alieni senza compasso

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autoimmobili

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Ha aperto qualche mese fa, a pochi metri da qui, un negozio di auto che ha preso il posto di una concessionaria Nissan. Ora sembra invece proprio un negozio di automobili nel vero senso di “punto vendita”, perché ci sono macchine in vetrina, e tutti gli amanti del genere e qualche eccezione, come me che non amo il genere ma sono curioso, danno un’occhiata dentro. Ho scoperto così trattarsi di una esposizione di auto d’epoca, o non so come altrimenti possano essere definite la auto da film di zerozerosette, quelle con stemmi di cavalli rampanti e giaguari e bandierine e quei colori altrimenti improbabili, che se li vedi in autostrada su modelli comuni pensi subito al tecnico della Telecom o alla vettura di servizio di Seat Pagine Gialle. Ma una Lamborghini gialla elenco del telefono, vuoi mettere?

Il titolare lo incrocio spesso fuori, elegantissimo con il fantasmino sotto la college che svela una striscia di caviglia tra la scarpa e il risvolto dell’abito. Immancabilmente al telefono, starà tessendo relazioni per nuovi business, penso. Magari proponendo una Aston Martin per il prossimo episodio di Don Matteo. Mi sfugge infatti il mercato di riferimento, il negozio è sempre vuoto. A parte Lothar, così l’ho chiamato io. Lothar è il tuttofare, rigorosamente nero come la pece, gigantesco e palestrato ma non più giovanissimo, in completo blu Atm senza cravatta. Lothar, a qualunque ora del giorno, lo vedi lì dentro con il piumino in mano a togliere la polvere che in realtà non c’è – perché l’ha tolta anche il giorno prima – ora da una Porsche, ora da una Lotus. Il capo coi fantasmini fuori a tessere relazioni, il tuttofare muscoloso dentro a spolverare le automobili da zerozerosette pulite e lucide, sempre lì. Sempre le stesse. Tutte quante.

metro-politan

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Milano, linea rossa, direzione Duomo. Non è l’ora di punta, si trova ancora qualche posto a sedere; il tragitto, una decina di fermate in tutto, non è brevissimo, posso dedicarmi al mio libro, l’ennesima storia di squallore nella provincia statunitense. La temperatura è torrida, l’aria ai limiti della respirabilità, il sedile bolle sotto il mio abito poco indicato alla stagione. Si chiudono le porte alla stazione successiva a quella in cui sono salito io, ormai sono in trance, immerso nella lettura. Il convoglio riparte, e sento che c’è qualcosa che mi disturba, come un’interferenza che mi riporta alla realtà. Qualcuno sta cantando, a pochi passi da me. L’intrattenimento musicale sotterraneo è una forma espressiva piuttosto comune, un trend in crescita, se così lo si può definire, multiculturale e trasversale. In taluni casi rasenta il meltin’ pot, capita infatti di assistere a esecuzioni di brani della peggio tradizione melodica italiana, o sole mio, per fare un esempio, per violino solo con ghirigori e abbellimenti esotici. Il risultato non è male. Ma, per dirla tutta, la maggior parte delle volte la tecnica dei strumentisti non è granché, oggettivamente. Capisco che l’intento di questi spettacoli itineranti sia la massima resa con il minimo sforzo, suonare Paganini per otto ore nella ressa di folla che si sposta sottoterra potrebbe essere impegnativo. E io mi sono imposto di versare un obolo – non più di un euro, duemila lire, non dimentichiamolo – solo se la qualità, la tecnica, l’estro, la fantasia vanno oltre l’improvvisazione free jazz (la categoria che mi sembra più attinente) per strumenti ad arco o melodica a bocca.

Dicevo, qualcuno sta cantando, a pochi passi da me. E l’interferenza cattura la mia attenzione perché ciò che percepisco è piuttosto distante dalla cultura gitana cui siamo avvezzi. Alzo lo sguardo dal mio libro e noto un uomo sulla settantina, forse meno, molto distinto, in camicia a maniche corte di lino bianca dentro un pantalone jeans cartonato tipico da persona agée e mocassini. Capelli corti bianchi e barba rasata di fresco. Con la mano sinistra si regge all’apposito sostegno verticale, la destra è stretta in un pugno a tenere un invisibile microfono rivolto verso la bocca. Ha il capo leggermente chino e gli occhi socchiusi, una perfetta interpretazione di quello che sta cantando: “Strangers in the night exchanging glances, wondering in the night what were the chances, we’d be sharing love, before the night was through“. Leggo un po’ di imbarazzo nei volti delle persone che stanno condividendo con me l’esibizione di quel crooner della Martesana, nessuno potrà negare una mancia di fronte a cotanta miseria urbana. Ecco l’ennesimo pensionato che non arriva a fine mese, che prova ad arrontondare mettendo sotto i piedi (e sotto terra) la propria dignità facendo quello che sa fare, cercando di vendere alla bontà del prossimo il suo orgoglio e piuttosto che chiedere l’elemosina fuori dal supermercato di quartiere perlomeno di impegna a guadagnarsi onestamente un pasto. Questo è il domino di banalità che assumono le sembianze di punto interrogativo sopra la mia testa e si uniscono al pensiero unico che si va formando più o meno all’altezza della fermata di Loreto. Io scendo tra due, metto mano al portafogli ed estraggo il mio gettone da un euro (duemila lire, non dimentichiamolo mai). Ma a Loreto il convoglio si ferma, si aprono le porte e il nostro Frank Sinatra esce, continuando la strofa dello slow con cui ci stava dilettando senza chiedere nulla. Il convoglio riparte, lo vedo dal finestrino infilare la scala mobile, non lo sento più ma osservo le sue labbra intente nell’allungare la vocale dell’ultimo verso, accompagnato da un ispirato e languido movimento del capo. Sorrido al mio vicino di posto, che non ricambia, ripongo il libro in borsa, rimetto l’euro in tasca e mi appresto a scendere, fischiettando il refrain di Strangers in the night.

l’ora delle decisioni irrevocabili

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Non puoi pretendere da una folla esasperata di mantenere la calma. E guarda, non sto parlando di quanto successo prima della guerra, che già lì ci sarebbe materiale per mandare in bestia chiunque. Il punto è che tra il 43 e il 45 era tutto molto, ma molto più complicato. Chi stava di qui o di là rischiava la vita. Sempre. Poi c’erano tante, troppe persone che stavano in mezzo ad aspettare. Ma chi si sbilanciava, magari anche a fin di bene, per sopravvivere, perché minacciato, faceva rischiare la vita agli altri. E non c’era modo di perdonare. Così qualche giorno dopo il 25 aprile, lo hanno preso a casa sua. Era il barbiere del paese, andavo da lui quando il mio vicino, che me li tagliava gratis, non poteva. Sono andati in gruppo e armati. Il barbiere aveva fatto arrestare un po’ di gente, e a causa delle sue delazioni alcuni ci avevano rimesso la pelle. Subito o in Germania. Aveva potuto decidere di farlo, e l’aveva fatto. Lo hanno preso, e da casa sua, a calci nel sedere e schiaffi, in mezzo alla folla esasperata, tra chi aveva visto uccidere i propri cari dai fascisti e chi morbosamente era incuriosito dalla scena, lo hanno spinto verso il cimitero. Non ricordo se sia arrivato lì ancora vivo, o in che condizioni. Ma a quel punto la condanna è stata eseguita a mitragliate. Era la guerra, non era ancora finita, e ci sarebbe stato ancora qualche strascico, almeno per i successivi sessant’anni. Non puoi pretendere da una folla esasperata di mantenere la calma.

mangoni alle politiche supergiovanili

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È l’unico assessorato che manca alla nuova supergiunta di Pisapia che, oggettivamente, mi sembra comunque una squadra di tutto rispetto.

ex-po

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Ora che Milano e Rho sono passate al centrosinistra, che ne sarà della grande torta? Voi non mi vedete, ma io sto sorridendo.

giochi senza frontiere

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Ogni giorno vedo il monitor del tuo pc, non è colpa mia se il tuo ufficio è in vetrina, proprio sulla strada. Ogni giorno vedo i lineamenti tipici dell’Europa dell’est e l’evoluzione della tua pettinatura, probabilmente vai dal parrucchiere ogni fine settimana. Anche il client a tua disposizione si è evoluto, nel tempo. Dieci anni fa avevi un monitor delle dimensioni di un televisore della nonna e probabilmente un ingombrante tower con pentium 3 sotto la scrivania. Oggi hai un monitor ultrapiatto e ultrafigo, con un desktop dal design minimale e accattivante a lato, tutto scalfito da decine di prese usb. E hai iniziato anche ad ascoltare musica mentre lavori, indossi spesso auricolari bianchi collegati direttamente al pc.

Solo due cose sono rimaste immutate. Già allora stavi, ogni giorno, seduta perfettamente alla tua scrivania, e ancora oggi mi ricordi la silhouette disegnata nelle fotocopie che mi ha consegnato il mio capo, un vademecum contenente le verifiche che ogni operatore è tenuto ad effettuare presso le postazioni munite di videoterminale, al momento del loro utilizzo, alla voce “regolazione del sedile”. Un insieme di angoli retti: sopracciglia, braccia, busto, gambe, schiena. Ripeto, non è colpa mia se il tuo ufficio è in vetrina, e comunque buon per te: sarai sempre in perfetta forma fisica, oltre che ben pettinata. E c’è un altro dettaglio che è rimasto sempre uguale: la tua attività. Stamattina, come la prima volta che ti ho notato, ciò che era visualizzato sul tuo monitor era uno spazio tutto verde, con una serie di carte da gioco digitalizzate messe una sopra l’altra. Un’applicazione che, da sempre, risponde al nome di solitario.exe. Sì, il solitario di Windows.

Internet ha rivoluzionato il modo di divertirsi e il concetto stesso di entertainment. Le aziende studiano da anni, ormai, il modo di inibire l’accesso dei propri dipendenti ai siti di Social Networking per problemi di sicurezza e per evitare salassi di produttività. I giochi offline e online sono diventati di una raffinatezza e di un coinvolgimento tale da mettere a rischio il senso stesso di realtà degli utenti. Tu no. Tu sei diversa. Tu, nel 2011, quando persino il duopuntozero sta diventando obsoleto, ogni giorno, intorno alle 9.15 e spero solo in quel lasso di tempo, e lo spero per te e per l’azienda in cui lavori, insomma con i tempi che corrono pagare persone per scrivere post come questo o aggiornare il profilo su Facebook è più che controproducente, ogni santo giorno sei lì a mettere il fante di picche sul dieci di picche, il tre di denari sul due di denari, in un’eterna sfida tra uomo e macchina che nessun sistema operativo al mondo potrà mai rendere vana.

prendi questa mano zingara

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Dopo l’onorevole Iva Zanicchi, scende in campo Gigi D’alessio per lo sprint di Letizia Brichetto Arnaboldi, prendendo il posto di Andrea Bocelli. I milanesi e gli italiani tutti dovrebbero rendersi conto dei gusti musicali di merda che hanno questi qui.