gli italiani in piazza per una nuova moneda al posto dell’euro

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Mio suocero che è del ventotto una volta mi ha raccontato di quando, nella Milano del 44, quella di “Senza Tregua” per capirci, passava davanti alla sede della decima mas. Anzi non passava proprio davanti, ma come tutti cercava di stare alla larga dalle pattuglie di guardia, ragazzini con mitra e pistole con cui era facile mettersi nei guai. Il regime di Salò raschiava il barile del consenso tra volontari e non che, a quindici o sedici anni, potevano avere pasti caldi e libertà di fare fuoco arbitrariamente in cambio di una divisa. Sono racconti che mi tolgono il sonno nel vero senso della parola. Stanotte ho dormito poco e male. Ero tormentato da scenari apocalittici da golpe cileno in cui la gente rivoltosa unita a forconisti post-grilleschi con il patrocinio di qualche scheggia impazzita delle forze dell’ordine, camionisti, pentastellari, evasori fiscali in cerca di una scusa per giustificare le loro manchevolezze, movimenti di estrema destra, black blocks, un velo di criminalità organizzata di stampo mafioso, studenti che non vedono l’ora di saltare scuola e lanciare qualche sanpietrino, oltre agli immancabili apparati deviati dello stato, insomma tutti insieme appassionatamente all’attacco della democrazia. Uno esce dall’ufficio in questa temperatura polare e sulla strada di casa passa per caso in mezzo a questi legionari del duemila alimentati a gadget tecnologici da centinaia di euro e con in mano qualche pistola. Ma non è un videogame, nemmeno un gioco di ruolo. Quello che transita di lì fa una domanda per capire che succede, quell’altro gli spara. Poi è suonata la sveglia e, per fortuna, di tutto quello c’era solo – almeno apparentemente – la temperatura polare.

facce da culto

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A me più che il culto della personalità disturba il culto della faccia. Se poi è un faccione un po’ paciarotto, che è un termine che si usa da queste parti per essere personalmente corretti con le persone diversamente magre, il fastidio è doppio. Ma non perché ce l’ho con gli obesi. È che spesso non rispettano alcune linee guida a cui è importante attenersi quando si fa un ritratto. Lo spazio intorno tra il viso e i bordi della foto è ridotto ai minimi termini quando è ritratto uno con il faccione. Poi mettici la barba e i capelli arruffati che azzerano l’aria sopra e sotto, il volume aumenta e l’impatto sulla capacità di sopportazione è ancora più forte. A questo, nel caso del culto della faccia, si aggiunge il vedere la faccia da tutte le parti. L’onnipresenza del faccione sui simboli di partito, sui profili Facebook degli adepti al culto del faccione, nei servizi ai tiggì perché il faccione non vuole partecipare dal vivo ma finisce che ogni due per tre si manifesta come un fotogramma subliminale che qualcuno mette in mezzo ai film e ai programmi per i più deboli di opinione. Tutto questo genera sovraesposizione ma di quel tipo che non te ne accorgi subito. Perché all’inizio è un fenomeno folcloristico e ne abbiamo avuti a bizzeffe in tutti questi anni, pensateci un po’. All’inizio ridevamo del Bossi e dei suo sproloqui, ridevamo di Berlusconi e delle sue bausciate, ce ne stavamo divertiti al sicuro della nostra democrazia finché le loro facce emiparetiche e rifatte a botte di migliaia di euro hanno iniziato a essere parte integrante della nostra vita perché delegate a rappresentarci a noi stessi, all’Europa e al mondo. Oggi è tempo di nuovi faccioni i cui lineamenti si sono sedimentati su milioni di persone pronte a vibrare agli ordini dell’ennesimo uomo forte e miliardario di cui il faccione è l’apoteosi, nella prossemica dell’atto del proferire la cosa intelligente, che poi sotto sotto nasconde una comanda. Fate così e fate cosà. Nel frattempo il faccione è entrato nelle nostre case, lo vediamo in tutte le salse ma sempre in differita, si è installato come un virus nei nostri dispositivi che adoperiamo per informarci e chissà, ci vorranno altri vent’anni per eliminarne le tracce. Voglio dire, almeno la scorsa volta tra il mascellone e Berlusconi ci hanno lasciato mezzo secolo di respiro e tutto il tempo per riavviare il sistema. Oggi leggevo che un paese che rischia che uno come Grillo prenda il sopravvento in un modo fintamente democratico è un paese che si merita che uno come Grillo prenda il sopravvento in un modo fintamente democratico. Così ho pensato a una classe della scuola primaria o come si chiamerà tra dieci anni, la maestra in piedi che spiega agli alunni, sulla parete dietro la cattedra il ritratto di Casaleggio. Un’altra bella faccia da culto.

una marcia in più

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A me il fascismo mi ha sempre messo paura. Anzi, se devo dirla tutta, è da quando sono bambino che è una delle cose che mi fa più paura di tutte. Persino più di certe malattie, della sventura, dei terremoti e della morte stessa. Sarà che vedere le bandiere e le spillette con i teschi mi dava l’impressione che fossero morti viventi a indossarle e ad esserne seguaci. Anzi, più che il fascismo che comunque è una teoria in sé e che quindi letta o raccontata non fa paura più di tanto, sono cumuli di parole che lasciano il tempo che trovano perché tutte le cose in teoria sono sempre belle, giuste, funzionano, fanno arrivare i treni in orario e danno le pensioni agli anziani, sono proprio i fascisti che mi spaventano. Quelli pelati, quelli con i capelli ma con le magliette di cuore nero o di cose così, quelli un po’ sfigati che indossano la divisa della decima mas e però non gli puoi dire nulla perché sanno di essere sfigati e così girano con quelli pelati e quelli con le magliette di cuore nero. Quelli che si ritrovano a casa di pound e in altre associazioni simili, che fanno musica inascoltabile perché sono loro stessi in primis che rendono complicato il loro codice binario e difficili da ascoltare ed è per questo che poi menano, fanno le irruzioni violente nelle scuole, si mettono in parata con i caschi e i bastoni, perché pensano che nessuno al mondo abbia voglia di discuterne. Quelli che di tutti questi poi catalizzano voti, pensiero politico, energie e capacità evangelizzatrice, che una volta stavano nell’emme-esse-i o nei gruppi extra-parlamentari ma con la valigia pronta per scappare in Giappone o in sud-America, e che poi si sono dispersi, diluiti, hanno ottenuto incarichi pubblici e si sono lasciati persino corrompere dal potere, quello dei palazzi in cui si governa con gli affari. E quelli che vanno a Predappio alle commemorazioni come quella della marcia su Roma, o al cimitero a fine aprile a piangere su quelli che hanno perso la guerra, quelli che fanno il picchetto d’onore alla fiamma affinché non si spenga mai. E ancor prima dell’insanabile gap culturale tra tutto questo e i valori con cui sono stato educato, potete immaginare quali, c’è di base quella specie di rabbia che li rende pronti a colpire sempre per primi perché poi le cose si complicherebbero a giustificare, a chiarire, a spiegare e a motivare. Che è poi quell’odio preventivo verso le cose senza nemmeno conoscerle, il loro, perché almeno noi le abbiamo studiate, ed è come se cancellarle fosse la soluzione e il mondo fosse davvero tutto unicamente popolato da persone solo tutte uguali e tutte fasciste, c’è pure un motto celebre di una loro associazione che sintetizza questo pensiero che invece è abbastanza articolato. Ma è nel cercare l’attualità di un modello morto e sepolto, anzi, prima di essere sepolto addirittura appeso a testa in giù in una celebre piazza di Milano, nell’insistere in un sistema che se già era inadeguato allora figuriamoci oggi con tutte le complessità della società in cui abitiamo, è in tutto questo in cui poi la mia paura trova conforto, come quando ti svegli e pensi che l’incubo che hai appena avuto non si manifesterà mai nella realtà perché – giusto per fare un esempio – difficilmente l’asfalto ti ghermisce mentre una ruspa ha perso il controllo o cose simili. Così seguo il servizio sul tg dell’ennesimo raduno, sono più di mille dicono, penso all’imminente festa di Halloween in cui i ragazzini si vestono da zombie e altre mostruosità è penso che sì, in fondo non c’è tutta questa differenza, forse si tratta solo di un anticipo in cui anche lì il nero va per la maggiore, una buffonata in più a una festa di defunti cosa vuoi che sia.

l’ora delle decisioni irrevocabili

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Non puoi pretendere da una folla esasperata di mantenere la calma. E guarda, non sto parlando di quanto successo prima della guerra, che già lì ci sarebbe materiale per mandare in bestia chiunque. Il punto è che tra il 43 e il 45 era tutto molto, ma molto più complicato. Chi stava di qui o di là rischiava la vita. Sempre. Poi c’erano tante, troppe persone che stavano in mezzo ad aspettare. Ma chi si sbilanciava, magari anche a fin di bene, per sopravvivere, perché minacciato, faceva rischiare la vita agli altri. E non c’era modo di perdonare. Così qualche giorno dopo il 25 aprile, lo hanno preso a casa sua. Era il barbiere del paese, andavo da lui quando il mio vicino, che me li tagliava gratis, non poteva. Sono andati in gruppo e armati. Il barbiere aveva fatto arrestare un po’ di gente, e a causa delle sue delazioni alcuni ci avevano rimesso la pelle. Subito o in Germania. Aveva potuto decidere di farlo, e l’aveva fatto. Lo hanno preso, e da casa sua, a calci nel sedere e schiaffi, in mezzo alla folla esasperata, tra chi aveva visto uccidere i propri cari dai fascisti e chi morbosamente era incuriosito dalla scena, lo hanno spinto verso il cimitero. Non ricordo se sia arrivato lì ancora vivo, o in che condizioni. Ma a quel punto la condanna è stata eseguita a mitragliate. Era la guerra, non era ancora finita, e ci sarebbe stato ancora qualche strascico, almeno per i successivi sessant’anni. Non puoi pretendere da una folla esasperata di mantenere la calma.