alcune volte in cui ho combattuto la legge

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Ha vinto quasi sempre la legge:

Ma una volta ho vinto io:

un tour semplice semplice

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Ne parlavo giusto qualche giorno fa, ed ecco che i Simple Minds tornano con un tour, una formula piuttosto originale e succulenta per i palati vintage in cui proporranno cinque brani per ognuno dei primi cinque album (chiamato appunto 5×5 live), ovvero Life in a day, Empires and dance, Real to real cacophony, Sons and fascination e Sister feelings call, a meno che non intendano questi ultimi due come unico album doppio e includano anche New gold dream nel quintetto base. L’unica esperienza di reunion viste dal vivo che ho avuto è quella dei Police a Torino qualche anno fa, e malgrado le perplessità di partenza devo ammettere che il concerto è stato superlativo. Ma stiamo parlando di una band che può permettersi di iniziare una esibizione live con un pezzo come Message in a bottle, immaginate il resto. Dubito che Jim Kerr sia in forma come Sting, e devo ancora sincerarmi che Mick MacNeil sia rientrato in formazione dietro ai synth. Insomma, potrebbe avere anche un senso, o no?

il nuovo dei radiohead?

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Mavalà, è il nuovo di Mariano Apicella con un po’ di fotoritocco. La copertina però stride con lo stile del menestrello alla corte dell’ex premier, e non sfigurerebbe nella discografia di un gruppo indie qualunque. Buon ascolto.

la misura conta

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È solo perché è bastato un attimo e otto anni sono volati, puff, forse davvero hanno ragione quelli che giustificano la percezione del tempo dicendo che in realtà l’universo non si espande ma si restringe, le distanze relative si accorciano e ogni unità temporale, per esempio il minuto, dura sempre di meno ma noi non ce ne accorgiamo perché anche i mesi e gli anni sono sensibili allo stesso processo. Una percezione che riguarda anche le distanze se tutto si restringe. Cioè, tra casa mia e l’ufficio ci sono sempre dieci chilometri ma sono meno di dieci chilometri rispetto alla stessa misura di ieri, solo che non me ne accorgo perché nel frattempo si è ridotta anche l’ampiezza della mia falcata, la lunghezza del vagone del passante e così via, ci siamo capiti.

Ma io ho la prova per smascherare questa truffa degna della fine del mondo dei Maya. Come? Semplice. Prendo un pezzo che so per certo essere stato registrato a un determinato bpm. Per esempio “Enjoy the silence” che è stato inciso a 113 bpm nel 1990, e lo so perché ho ancora una base midi che avevo realizzato allora (ed è scritto anche qui). Metto su Violator oggi a 21 anni di distanza e il pezzo suona allo stesso tempo di allora. Cioè l’Enjoy the silence di allora dovrebbe suonare più lento, e non venitemi a dire che anche il piatto del giradischi gira più velocemente perché non è vero, in quanto in tal caso dovrebbe influire sul pitch del brano che invece resta invariato, cioè con un supporto analogico e accelerando l’esecuzione il brano dovrebbe sentirsi in un tono più acuto no? A meno di non assistere a un prodigio fanta-ingegneristico di resampling con intonazione automatica.

Ma questo non è un film e il mondo reale non ha l’estensione di un file Cubase. E gli otto anni sono davvero svaniti ma io me l’aspettavo e oltre ad aver documentato più che ho potuto l’evento, cioè la sua vita (avete capito di chi sto parlando) come potete immaginare, sono sempre lì a organizzare ogni mia attività a seconda del suo tempo libero. Per esempio il martedì dopo l’ufficio vado a fare un po’ di attività fisica, così stamattina accompagnandola a scuola le ho fatto notare che il martedì è una giornata lunga per entrambi. Io ho ginnastica, lei pallavolo nel tardo pomeriggio, e fino alle 19.30 non ci possiamo rivedere, proprio così le ho detto. E dopo, quando è suonata la campanella e con il nugolo di amichette è scattata verso l’ingresso, si è girata e mi è corsa incontro per darmi un bacino, “allora ci vediamo alle 19.30”, mi ha ricordato. Sì cara, e per accelerare ancora di più il tempo in cui staremo separati tenterò uno stretch a 180 bpm della giornata lavorativa (praticamente un djset drum’n’bass).

non ci siamo dimenticati di voi, no no no no

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Ora vi dico l’esatto punto in cui ho pensato di non proseguire nella lettura, anche se interrompere un libro a metà lo considero un delitto, voglio dire, sarebbe come ammettere di avere perso tutto il tempo prima per arrivare fino lì. Il libro in questione è uno di quelli considerati un must letterario, diciamo un “Achtung Baby” della narrativa, dove gli U2 sono Nick Hornby e il titolo è “Alta fedeltà”, un romanzo gradevole quanto sopravvalutato, di quelli così trasversali che se non l’hai letto rischi sempre di passare da illetterato se sei con una persona colta, mainstream se sei con un alternativo, babbione se stai parlando con uno molto trendy. Non hai letto Alta fedeltà, ti chiedono sgomenti. Ma almeno hai visto il film? Beh, molti anni fa lo lessi anche io. E il paragone con gli U2 deriva dal fatto che raramente si sale su un’auto e il proprietario non ha nel porta cd almeno un album degli U2, fateci caso. Ma tornando al romanzo in questione, vi dicevo che a un certo punto ho pensato di mollarlo lì perché ho raccolto l’ardita provocazione di una delle sue numerose classifiche, e se siete assidui frequentatori di questo spazio virtuale potete indovinare a quale mi riferisco.

Il numero uno dei primi cinque gruppi o musicisti che bisognerebbe fucilare il giorno in cui arrivasse la rivoluzione musicale è occupato dai Simple Minds. Per inciso, prima di addentrarmi nel nocciolo della questione: se non erro, al terzo posto compaiono proprio Bono Vox e soci e al quinto i Genesis, anche se secondo me Hornby si riferisce ai Genesis senza Gabriel, anzi probabilmente non sa nemmeno che Gabriel cantava nei Genesis, altrimenti avrebbe fatto un doveroso distinguo. Ma, tornando al vertice, anche per i Simple Minds occorre un doveroso distinguo, il cui spartiacque consiste nella defezione del bassista Derek Forbes dopo il singolone che consacrò il gruppo scozzese come band da Live Aid, e mi riferisco a “Don’t you”. Ma vogliamo considerare la vita precedente dei Simple Minds? È il caso di snocciolare uno per uno tutti gli album usciti prima di New gold dream e decantarne le virtù? Vogliamo parlare di Real to real cacophony e di Empire and dance? Certo, l’ampolloso timbro di Jim Kerr è piuttosto stridente con le voci che oggi vanno per la maggiore, posso capire che la loro musica possa essere scambiata come un richiamo dall’oltretomba. Figuriamoci ai tempi del libro di Hornby, in piena era grungia. Ma la discografia tra i 70 e gli 80 dei Simple Minds è di tutto rispetto, algida e scura come il post punk di quei tempi ma suonata molto meglio, intendo dal punto di vista tecnico rispetto a molti gruppi dell’epoca. E se al primo posto della classifica dei dischi preferiti Hornby mette Marvin Gaye, la loro antitesi estetica, allora tutto torna, perché i Simple Minds sono quelli qui sotto. Diffidate delle imitazioni.

florence and the machine: what the water gave me

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la legge di Murphy (Peter)

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I MGMT hanno realizzato una cover più che accettabile di quel gran pezzo di canzone che è “All We Ever Wanted Was Everything” dei Bauhaus. Via.

col piffero

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Per darvi un’idea della portata sperimentale e delle potenzialità innovative della scuola elementare in cui mia figlia frequenta la classe terza, ecco qualche dato sull’insegnamento della musica. Nella scuola di mia figlia, che è la figlia di un musicista, mica cazzi, non si persegue uno di quei approcci a dir poco obsolescenti alla cultura delle sette note – anzi dodici – attraverso, che so, l’uso di software didattici, di quelli che offrono infinite possibilità per mettere in risalto l’aspetto ludico della materia in questione. Oppure l’avviamento alla pratica dell’esecuzione con una proposta tra strumenti ritmici, armonici e melodici, variando timbriche e tipologie stesse tra le singole classi in modo da abituare l’orecchio degli alunni a una musica di insieme diversificata, formando piccoli ensemble in cui lasciar coesistere musicisti in erba, in grado di ascoltare e, soprattutto, ascoltarsi reciprocamente cogliendo tutte le peculiarità di strumenti a fiato, a percussione, a corda. Niente di tutto questo. La scelta volta a lasciare un solco di apprezzamento indelebile nelle anime dei bimbi cresciuti a suoni di plastica e a hit da baby dance è lo studio del flauto. Capisco il vostro stupore: mai nessun programma di così alto livello aveva permesso alla musica di superare finalmente l’immeritato status di cenerentola delle materie scolastiche. Solo uno strumento dalle così ampie possibilità, così flessibile e in grado di dare ai bambini gratificazione immediata può far nascere la passione e competere con gli stimoli sonori ai quali i nostri figli sono avvezzi. Penso all’audio hi-fi degli home theatre, per non parlare degli impianti di amplificazione dei cinema, con quei subwoofer che ti pettinano e ti fanno ribaltare sui sedili. Niente di tutto questo. La scuola pubblica che non può contare sulle proprie risorse e che demanda ormai alle famiglie e all’iniziativa privata la copertura economica di tutte le attività collaterali al leggere, scrivere e fare di conto, è pronta a cogliere la sfida della modernità e a vincerla, sulle note di Fra Martino Campanaro, suonato rigorosamente all’unisono.

p.s. e per essere propositivo, mi chiedo, non era meglio il glockenspiel che è più facile da imparare, costa uguale, è polifonico e ha più di un’ottava?

per te che ho conosciuto

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Io li avevo visti, i Perturbazione, proprio in quella tournée lì. Anzi, a onor del vero, era il “Tora tora tora”, il maxi-festival che metteva insieme le menti musicali più energiche dei tempi. E che tempi: era il 2002 ed ero con quella tipa che poi sarebbe diventata mia moglie e quei due che già allora erano amici nostri strettissimi. Ed era una bellissima sera d’autunno, a Nizza, e tutto sembrava prendere quel corso pieno di felicità che poi si è rivelato tale. Per quello rimasi folgorato dai Perturbazione sul palco, tanto che non persi tempo e corsi ad acquistare il cd alla bancarella. Ne fui così piacevolmente sopreso che cominciai pure a molestarli via e-mail facendogli tutti i complimenti che mi sembrava giusto fare, come fanno i ragazzini con i loro idoli pop. Ma era tutto così perfettamente omogeneo che “In circolo” si prestava perfettamente ad essere la colonna sonora di quei pochi mesi di quiete che precedettero il vorticoso decennio successivo, fino a qui. Quindi evviva tutto, evviva i Perturbazione e come è stata la mia vita, splendida, da allora.

lo sballo del qua qua

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Compagnie canaglie: secondo Al Bano Carrisi è stata la droga a distruggere il suo matrimonio con Romina, che “ha sempre frequentato gente che fumava”. La droga in questione è marijuana, da cui il paradosso nel paradosso. Possibile che nessuno si sia mai chiesto la natura di tutta quella Felicità?

p.s. inutile aggiungere che con una analoga dichiarazione di Massimo Ranieri sarebbe stato tutto più facile.