ti pentirai

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Tutte le volte in cui un cantante ci lascia le penne nei cliché delle morti da rockstar, quindi canne di fucili in bocca, cocktail letali, overdose eccetera, mi viene in mente il ritornello di una canzone dal titolo “Ti pentirai”, uscita credo nell’81 e cantata da tal Peter Cromo, uno dei pochi cantanti il cui nome d’arte – come spero sia – non restituisce alcun risultato su Google se non in qualche catalogo di vinili usati. Niente paura, non è che vi siate persi chissà che, ma in quel pezzo si racconta di quello che sembra la madre di John Lennon dicesse al figlio, “ti pentirai!” appunto, preoccupata per i suoi sogni prematuri di rock’n’roll. Così mi immagino le varie signore Cobain, Hendrix, Joplin e ora Winehouse che, con l’indice proteso, cercano di redimere le velleità artistiche dei figli ancora controllabili verso le faticose carte dei loro corsi di studio. Ammesso che tale visione sia veritiera. Vado avanti così per ore con quel refrain, sarà capitato anche a voi di avere una musica in testa e sentire una specie di orchestra, no? E tutte le volte il link correlato che emerge nella colonna a lato di questa manifestazione irrazionale della memoria è una sorta di riflesso incondizionato. Perché penso “diamine, ma che fine ha fatto Peter Cromo”, e da lì ripenso ad altri due brani – e ai relativi cantanti/interpreti – coevi della hit dedicata a Lennon, altrettanto semisconosciuti e dei quali magari non si sono perse del tutto le tracce, qualche riferimento in rete è disponibile, ma è impossibile trovare versioni audio di qualità soddisfacente, da inserire in una qualsivoglia playlist d’ascolto. Quindi non mi resta che lanciare l’appello. Mi occorrono gli mp3 dei seguenti brani italiani dei primissimi anni 80:

– “Ti pentirai” di Peter Cromo, una specie di Johnny Rotten de noantri
– “Guendalina” dei Dada Umpa, gruppo capitanato da Peppi Nocera, divenuto in seguito autore televisivo di pietre miliari della tv di qualità come “Non è la rai”
– “Generazione nucleare” di Bernardo Lanzetti, cantautore e già frontman della Pfm nel periodo Chocholate Kings e Jet Lag

Si tratta di brani che non credo di aver ascoltato più di due o tre volte nella mia vita, orami 30 anni fa, in qualche programma musicale televisivo dell’epoca, Mister Fantasy o Disco Ring o qualche trampolino di lancio per artisti emergenti. Mi rimetto alla buona sorte e alla rintracciabilità delle tag utilizzate per questo post. Fatemi avere gli mp3 in buona qualità di questi tre brani. Ma, soprattutto, datemi notizie di Peter Cromo.

Edit del 13/6/2012: ne ho trovati 2!



they tried to make me go to rehab but i said ‘no, no, no

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early day miners: stereo video

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Qui
la recensione di Ondarock del nuovo album, “Night people”. Mica male il singolo, vero?

a lezione di rap, parte 2

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Non so se avevate visto la prima parte: Jimmy Fallon e Justin Timberlake che condensano un Bignami della storia del rap mettendo insieme una catena di samples delle pietre miliari di quel genere, supportati dal vivo dalla migliore band di hip hop suonato vivente (e non), i Roots, davvero ottimi strumentisti. Ma quell’esibizione soffriva di numerosa lacune, mancavano i Cypress Hill, tanto per fare un nome a caso. Ecco quindi la versione riparatoria, una seconda puntata ancora più divertente della prima, e ancora con un Jimmy Fallon strepitoso. Con un pizzico di invidia per quello che manca alla tv italiana: l’equivalente da noi sarebbero Fiorello e Jovanotti che, supportati da Paolo Belli e la sua orchestra, fanno un mix del meglio dei successi di Sanremo, su Rai Uno, al sabato, in prima serata.

rumore sarà tua sorella

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Modern technology has made it incredibly easy to emulate the sound of a rock band. Plug the right guitar into the right amplifier and you’re already on your way to sounding like Kurt Cobain. In fact, you don’t even need the amplifier. Just plug the guitar into a computer and choose the “Kurt Cobain” setting on your favourite music software. Almost every sound in rock and pop history that’s caused your ears to prick up, or your eyebrows to raise, has been sampled or digitally reconstructed for our music-making convenience. But these sounds all started somewhere; a musician or a producer made a noise – often by mistake – and someone in the studio piped up and said, “Hey! Actually, that sounds quite good!” And so the palette of rock and pop music was formed – a series of happy accidents, developed, refined and combined, mixed down and presented to us. Here are some of the most distinctive and, in no particular order, the records that best showcase them.

Il resto qui, provvisto anche di audio, grazie a Inkiostro.

una questione privata

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Quando ti ho visto ballare, la prima volta, ho immediatamente pensato che non fosse un pezzo adatto a te. È partita la canzone, ti sei fatta largo tra la gente, e hai iniziato a muoverti. Male, scoordinata, tendente al grottesco. E subito non ho dato la colpa alla tua sommaria attitudine all’andare a tempo perché avevo gli occhi obnubilati dal desiderio. Ma al momento del ritornello, quello che tutte le volte in cui lo ascolto mi viene la pelle d’oca o le lacrime agli occhi a seconda del mio stato d’animo, tu hai messo insieme una sequenza di gesti e posture da brivido. Di paura, naturalmente. Hai rovinato la poesia. Lì l’idillio è finito. È stato bello, ma scusami, cara. Per me il ritmo è tutto.

E non credere che la cosa non mi abbia fatto riflettere. È possibile mettere al bando le selezioni musicali che danneggiano la reputazione delle persone? No. Si fa prima a marchiare le persone che non sanno andare a tempo. Sfido chiunque a mettere per iscritto un elenco dei pezzi più imballabili della storia del dancefloor, compresi i club e le playlist di roba indie-alternative. Bella scommessa, direte voi. Quale Dj sarebbe così autolesionista da mettere pezzi imballabili? Ne va dell’autorevolezza del locale, del tempo libero – molto più che oro – degli avventori che hanno pagato e consumato per ballare e divertirsi, della reputazione stessa del Dj. “Che storia, l’altra sera Dj Tizio ha mixato i Ting Tings con Luglio, Agosto, Settembre nero degli Area”. Eh magari. Non è possibile, ci sono pezzi che nessuno proporrebbe al proprio pubblico con la pista gremita, e, se ti esaltano, è meglio ascoltarli da soli o in auto, in compagnia ristretta, tra amici che conoscono quel pezzo e già sanno come comportarsi.

Esistono però brani borderline che è sconsigliabile suonare a un pubblico – diciamo – generalista? I pezzi con la cassa in quattro costituiscono lo specifico discotecaro prestato anche al clubbing e al Dj della domenica che inanella hit alla festa di laurea della migliore amica della sua fidanzata, si va sul sicuro, donne e uomini – tranne chi proprio il ritmo nel sangue non ce l’ha, e non è una questione genetica – si dimenano, si corteggiano, si ubriacano e cedono l’un l’altro. Mi riferisco a qualsiasi cassa in quattro, il 99,99% della musica occidentale moderna. Arditi musicisti hanno introdotto i ritmi dispari in quarti, sette per esempio, in cui l’alternanza di battute da 4/4 e da 3/4, 4 e 3 beat per chi è autodidatta, e attenzione a proporli perché si rimane un po’ spaesati sul 3 della seconda misura ma si cade sempre sul morbido della successiva che è regolare, ma alla fine, se ci si concentra, ne deriva una sorta di gioco ritmico a cui adattare il proprio corpo, una sì e una no, una sì e una no e così via. Ora il nostro orecchio, anzi il nostro piede, è abituato, ma all’inizio pezzi come questo in sette non erano così immediati, lo stesso cantante di quel gruppo lì una volta si è perso (ma erano gli albori e la tournée era iniziata da poco, anzi forse era il concerto inaugurale, e possiamo perdonarlo). Una questione culturale, fondamentalmente. Altrove sono abituati alla scansione del tempo dispari, anche dispari più articolati e meno simmetrici e alternati a pari. Insomma, vien voglia di ruotare come dervisci in tondo e non ci si pensa più. Ma attenzione, se il buttafuori non è avvezzo (cosa molto probabile) la vostra interpretazione potrebbe essere scambiata per pogo e potreste venire immediatamente allontanati dalla pista.

Tutto questo per dire che? Ah ecco, i pezzi imballabili non esistono. Musica bellissima da ascoltare e che ti sembra ritmata ma che, haimè, se sei lì con la tua bella rischi una figura un po’ così, magari vai a sbattere con il vicino che in quanto a ritmo nel sangue è più anemico di te e poi di rimbalzo su di lei. E allora gridi “hang the dj”, ma non perché la musica non ti dice nulla della tua vita. Un trauma che mi porto dentro da un remix di “Love like blood” dei Killing Joke, non l’ho trovato in rete altrimenti avrei argomentato meglio questo futile post, con un paio di cambi, di stop and go totalmente aleatori che impedivano il flusso logico dell’assimilazione sonora, la scomposizione di suoni e silenzio in moduli di figure corporee, fotogrammi che scorrono in film fino quando un qualcosa che non riesco a descrivere lo ha interrotto, una forbice sul nastro. Buio. Corpi in nero sono piombati nel silenzio, muti. Solo l’handclap della batteria elettronica, indecifrabile. Un cambio imprevedibile e tutto è sospeso, ed è proprio lì che ho schiacciato un piede. Avevo gli anfibi. Lei si è risentita. Vai a capire il perché. È l’essere umano, talvolta, a non essere adatto al movimento sincronizzato.

post adolescenza

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Al semaforo noto un fuoristrada un po’ demodé tutto serrato nei suoi vetri scuri, probabilmente a trattenere l’aria condizionata compressa e refrigerante dentro l’abitacolo e a schermarsi dal sole battente e impietoso. Lo noto perché l’unico segnale di vita che si percepisce è un pezzo metal ma di quel metal cattivo e spedito al tempo stesso, quello di una volta, metal puro e non contaminato da punk, rap, industrial o che altro. Potrebbero essere gli Iron Maiden, per farvi capire, quel genere lì. Ed è impossibile non percepirlo, perché la musica, malgrado i finestrini chiusi, è a un volume inumano. Decido allora di avvicinarmi facendo lo gnorri, devo vedere che faccia ha questo aspirante cliente Amplifon, ma devo avvicinarmi di più perché, vi dicevo, il riflesso del sole e i vetri scuri inscrivono il fuoristrada in una dimensione parallela e remota. Dentro l’auto, al posto di guida, c’è Pino Scotto. Almeno, sembra proprio lui. Ora mi è tutto chiaro. Penso che diamine, alla sua età ascoltare metal appalla in auto. Un po’ curioso no? Mi allontano, e il tizio incravattato che ha guardato con me chi ci fosse dentro a quella trappola per padiglioni auricolari si sofferma quindi sulla mia maglietta dei Tv on the radio e sui miei jeans sdruciti, che fanno pendant con barba e capelli spettinati e grigi.

let’s dance to joy division and celebrate

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Via.

the horrors: i can see through you

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Il nuovo album degli Horrors è alle porte, anzi è già uscito e qui trovate la recensione di Ondarock con cui concordo soprattutto nel parallelo tra il pezzo qui sotto, I can see through you, e le sonorità di Life in a day dei Simple Minds. Lo sapete, io vado matto per quelli che citano così bene i brani altrui così palesemente da andare oltre il plagio e sconfinare nella contaminatio. Lo considero un vero e proprio riconoscimento dell’autorità.

buco

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C’è una discussione in uno dei numerosi social network in cui esercito la mia presenza, che detta così fa figo ma in realtà avrei dovuto scrivere “in uno dei numerosi social network in cui perdo tempo e mi lascio travolgere dal cazzeggio”, chiaramente consenziente. Il thread è “band con i nomi migliori”. L’elenco è lunghissimo, gli interventi sono centinaia, la discussione potrebbe procedere infinita perché infinite sono le band che hanno fatto (e non fatto) la storia della musica rock. E nomi oggettivamente degni di nota, indipendentemente poi dalla qualità stessa della musica che hanno proposto, ce ne sono a iosa. Ognuno dice la sua: Talking Heads, cerebrale. Screaming Trees, bucolico. Jane’s Addiction, realistico. God speed you black emperor, roboante. Scisma, nomen omen. Architecture in helsinki, costruttivo. Rolling Stones, storico. The The, minimal.

Ho pensato e ripensato, ho cercato in Internet, scartabellato nei miei numerosi contenitori virtuali di file illegali e non, per dare il mio apporto costruttivo alla discussione. Dovevo, mi sentivo chiamato in causa, non potevo deludere in prima istanza me stesso. Si parla di musica, devo dire la mia. E non sono riuscito a tirare fuori nulla di più incisivo dei “!!!” o thck tchk thck, insomma avete capito a chi mi riferisco. Un nome senza dubbio originale, molto più di altri. Ma non ero soddisfatto. In treno, a fine giornata lavorativa passata ancora interamente tra FriendFeed e Google+, ho finalmente avuto l’illuminazione. Ecco il modo più figo in cui una band rock possa chiamarsi, a maggior ragione se la band è interamente femminile. Il nome definitivo è il nome del vuoto che più pieno non si può.