novantasetta

Standard

Stavo ballando non so che pezzo dei RATM – probabilmente il classicone che ti incita a fuck you, I won’t do what you tell me – quando arrivò Benedetta tutta trafelata – poi la finisco con gli incisi, ma era la stessa Benedetta che noi chiamavamo Bettina per i trascorsi craxiani del padre, trascorso negativi ovviamente in una città che aveva visto i primi vagiti di quel tracollo che poi il PSI imbarcò a furia di martelli e marzotto e che portò alla fine della prima repubblica per metterci poi nelle mani di sua maestà – Benedetta dicevo a dirci che aveva sentito la notizia che Cobain si era piantato un pallettone di fucile da qualche parte in testa e no, non ricorre oggi il ventennale della morte quindi state fermi e non correte su Wikipedia a controllare, è già stato ed era maggio e forse ne abbiamo parlato anche su queste pagine. Solo che quando si suicida uno di cui ti sei fidato anche se in questo caso era come fidarsi del medico che ti somministra la giusta quantità di sonniferi per addormentarsi per sempre, in questi casi vi dicevo si resta come sgomenti, è una specie di 8 settembre della vita con tutti disorientati, un tutti a casa dove non c’è più nessuno a darti gli ordini e non si sa davvero come comportarsi. È il caso di continuare sulla stessa linea? Bisogna eleggere un nuovo comandante o aspettare che dall’alto comunque vengano impartiti degli ordini? E non parlo solo di Dave e Krist, cristo. Cazzo se professi l’autodistruzione e spacco tutto dentro di te, per non parlare di tutti gli ampli che hai fatto fuori in concerto, poi devi mettere in conto il fatto che almeno uno che porta avanti la leadership dell’annullamento del sé deve rimanere vivo, no? Altrimenti la setta di chi non si vuole bene si esaurisce in tre due uno secondi e allora dove sta tutto il merito commerciale? Non venite a dirmi che l’esposizione a MTV non ti rende comunque pop anche se sei grungio inside e outside. Voglio dire, i Clash non sono mai andati a Total Request Live e nemmeno sono passati per Video Sing-a-song, annunciati da quell’efebo di Sandy Marton. E non fatemi ricordare la fine che ha fatto Joe Strummer.

difficili usi, facili costumi

Standard

A chi si lamenta dell’uso a sproposito dei Clash come colonna sonora di una manifestazione che con lo spirito di Joe Strummer poco ci azzecca, ma si sa che con il tempo si è più inclini a perdonare tutto a tutti e a stringersi collettivamente in un globale volemose bbene, una grande chiesa che va dalla Regina Elisabetta a Johnny Rotten passando per Malcom X e San Patrignano nonostante Mr. Bean, pensate a cosa sarebbe successo se qualcuno avesse messo come sottofondo da qualche parte “Inglan is a bitch” di Linton Kwesi Johnson. Anche solo recitata così.

esta indecisión me molesta

Standard

La Bicocca, sapete meglio di me, è un’area di Milano che è stata completamente rimessa a nuovo fino a formare un quartiere, di quelli un po’ borderline: operoso e vitale nei giorni feriali per la presenza dell’omonima università e di molte sedi di uffici, a tratti spettrale nei giorni festivi. Ciò non toglie che sia una zona ricca di scorci incantevoli di architettura moderna, di quelli che piacciono a me: freddi e imponenti, degni del razionalismo sovietico. Prendete la sede della Siemens, per esempio, con quella specie di piazza interna e l’accesso che sembra un arco imponente. Potrebbe essere tranquillamente la location di uno spot pubblicitario. Anzi, secondo me qualcuno ci ha già pensato.

C’è il quartier generale di una azienda farmaceutica cliente dell’agenzia in cui lavoro io, proprio lì a fianco. Ogni tanto mi capita una visita in loco, per loro realizziamo video aziendali, house organ, insomma ci tocca ogni tanto qualche riunione con il responsabile marketing. Stavo prendendo un caffè con un paio di colleghi giusto qualche giorno fa in un bar a metà strada tra gli uffici a cui ero diretto e l’ingresso principale della Siemens. Era poco prima delle nove, tutto intorno un viavai di impiegati al galoppo e studenti assonnati, molte matricole, gente comune. Anche il bar era piuttosto gremito, ma mi stavo comunque godendo il riparo dall’ultimo caldo della stagione. Caffè, aria condizionata, solito intrattenimento radiofonico da locale pubblico, una emittente commerciale che, dopo il consueto report sul traffico delle tangenziali, fa partire “Should I stay or should I go” dei Clash.

Yeah, penso dentro di me, altro che caffè, ecco quello che dà la carica al mattino. Un paio di queste per iniziare la giornata e vai di rendita fino a sera. C’è qualcosa di stano però, ma non me ne accorgo immediatamente. Colgo con la coda dell’occhio che tutti, ma proprio tutti, hanno espressioni molto amichevoli gli uni con gli altri, parlano in maniera piuttosto cordiale, anzi troppo, come se fossero tutti amici che si sono incontrati in quel bar per caso dopo non so quanti anni. Ex compagni di classe, ex colleghi, ex coppie. Il tutto mentre scorre via liscia la prima strofa. Avete presente il pezzo, no? Un classico giro blues, la strofa che si ripete due volte. Io poi ho la pessima abitudine di raccogliere lo zucchero in fondo alla tazzina con il cucchiaino, e proprio mentre porto alla bocca quel po’ di dolcezza prima di pagare per tutti, tutti quelli che erano con me, naturalmente, la seconda strofa finisce. “So you gotta let me know/Should I stay or should I go?”, quindi si chiude il riff di chitarra è c’è lo stop. Mi seguite?

Bene. A quel punto sto per cantarmi il ritornello mentre succhio il contenuto del cucchiaino, ma il ritornello non parte. Lo stop diventa una pausa di un quarto, poi di due quarti, poi una battuta intera. Mi rendo conto dell’anomalia, ripongo il cucchiaino nel silenzio più assoluto, mi guardo intorno e vedo che tutti mi osservano. Il barista, i gruppetti di impiegati in giacca e cravatta che hanno preso cappuccio e brioches, le tre studentesse al bancone, poco più in la, con la loro attrezzatura da aspiranti architetti. Tutti mi guardano, anche in modo tutt’altro che accomodante, e il pezzo non riparte. Ma che succede?

Poso la tazzina, mi prende il panico, ma oltre le vetrine, sulla strada, vedo che anche fuori è così. Tutti si sono fermati, guardano me, poi si squadrano tra di loro con gli occhi pieni di sfida. Ecco, una sfida. Tutti contro tutti. Ma una sfida di che? Esco fuori terrorizzato e, incredibilmente, ecco che riparte il ritornello. Con il tempo raddoppiato, avete presente, l’avrete ballato chissà quante volte anche voi. Dal blues al rock’n’roll puro. E immediatamente scatta il pogo generale. Lavoratori, docenti e ricercatori dell’Università, imprenditori, passanti, tutti si inseguono e iniziano a spintonarsi in un immenso delirio punk, proprio in quella piazza.

Quindi l’apoteosi, perché il pezzo curiosamente salta la terza strofa e il bridge strumentale, e continua con l’ultimo ritornello, si tratta di un radio-edit particolare, penso. Un gruppo ben nutrito di persone mi corre incontro, decisissimo a pogare contro di me. Scappo. Corro sempre più veloce, vedo un portone che è rimasto aperto e in un lampo di lucidità mi ci butto dentro e mi chiudo lì. Gli scalmanati che mi avevano puntato, però, quasi in trance, si riversano contro un altro crocchio di persone, più numeroso, e poi tutti insieme ad accanirsi di pogo, donne e uomini, ventiquattrore che volano in aria, tacchi di scarpe di marca spezzati, fogli e documenti stracciati.

La canzone si avvia verso la fine e io, tirando un sospiro di sollievo, assisto alla scena finale al riparo in quell’androne. Il pezzo si conclude, torna dimezzato, Should I stay or should I go, l’ultimo verso accompagnato da chitarra, basso e batteria tutti con la stessa metrica. Quelle comparse di non so che incubo materializzatosi si fermano dovo sono. E a quel punto, sulla scena, appare in in bianco una headline: “Silvergold Assicurazioni. Ogni imprevisto ha un’alternativa. La nostra è sempre la più vicina”.

jack london

Standard

Su Sempre un po’ a disagio c’è chi giustamente si lamenta del Morrissey-pensiero tirato in ballo solo perché c’è panico tra le strade Londra e analogo stato d’animo a Birmingham, ma, come è noto ai più, la rivoluzione che gli Smiths avrebbero voluto scatenare non andava al di fuori delle loro membra, al massimo della sala prove. Figuriamoci poi con i Clash. Solo perché c’è Londra nel titolo, o perché la canzone ha un testo che parla dei suoi quartieri, non è detto sia attinente a quello che sta succedendo lassù. Per carità, poi ognuno fa quel che gli pare, ma allora non è meglio usare il nichilismo dei Sex Pistols, come propriamente è stato fatto in UK? Ecco, per esempio, il testo di London’s burning (via Radioclash, l’unico sito that matters).

London’s burning! London’s burning!
All across the town, all across the night
Everybody’s driving with full headlights
Black or white turn it on
Face the new the religion
Everybody’s sitting’ round watching television !
London’s burning with boredom now
London’s burning dial 99999
I’m up and down the Westway, in an’out the lights
What a great traffic system…it’s so bright
I can’t think of a better way to spend the night
Then speeding around underneath the
Yellow lights
London’s burning with boredom now
London’s burning dial 99999
Now I’m in the subway and I’m looking for the flat
This one leads to this block, this one leads to that
The wind howls through the empty blocks looking for a home
I run through the empty stone because
I’m all alone
London’s burning with boredom now
London’s burning dial 99999

oppure il testo di London Calling:

London calling to the faraway towns
Now that war is declared and battle come down
London calling to the underworld
Come out of the cupboard, all you boys and girls
London calling, now don’t look to us
Phony beatlemania has bitten the dust
London calling, see we ain’t got no swing Except for the ring of that truncheon thing
The ice age is coming, the sun is zooming in Meltdown expected the wheat is growing thin Engines stop running but I have no fear

‘Cos London is drowing and I live by the river

London Calling, to the imitation zone
Forget it brother, you can go it alone
London calling to the zombies of death
Quit holding out and draw another breath London Calling, and I don’t wanna shout
But while we were talking I saw you noddin’out
London Calling, see we ain’t got no highs Except for that one whit the yellowy eyes
The ice age is coming, the sun is zooming in Engines stop running the wheat is growing thin

A nuclear error but I have no fear
‘Cos London is drowing and I live by the river

London Calling, yes I was there too
An’ you know what they said …
Well some of it was true !
London Calling, at the top of the dial
An’ after all this, won’t you give me a smile?
I never felt so much a’ like…

e ancora Guns of Brixton:

When they kick at your front door
How you gonna come
With your hands on your head
Or on the trigger of your gun
When the law break in
How you gonna go
Shot down on the pavement
Or waiting on death row
You can crush us
You can bruise us
But you’ll have to answer to
Oh the guns of Brixton
The money feels good
And your life you like it well
But surely your time will come
As in heaven as in hell
You see he feels like Ivan
Born under the Brixton sun
His game is called survivin’
At the end of The Harder They Come
You know it means no mercy
They caught him with a gun
No need for the Black Maria
Goodbye to the Brixton sun
You can crush us
You can bruise us
But you’ll have to answer to
Oh the guns of Brixton
When they kick at your front door
How you gonna come
With your hands on your head
Or on the trigger of your gun
You can crush us
You can bruise us
You can even shoot us
But oh…the guns of Brixton
Shot down on the pavement
Waiting on death row
His game was survivin’
As in heaven as in hell
You can crush us
You can bruise us
But you’ll have to answer to
Oh the guns of Brixton

Speriamo la protesta non dilaghi anche a Chelsea, non vorrei sentire usato anche il nome di Nico invano.