di serie

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Ero al volante fermo al semaforo, uno dei tanti in circonvallazione, distratto dall’ennesimo tentativo di ricerca di una stazione radio con musica decente, addirittura stavo progettando una sorta di filtro anti-radiomaria per far sì che le devote frequenze siano bypassate automaticamente dai sintonizzatori, quando ho avvertito con la coda dell’occhio un bicchierino di carta appoggiato al finestrino e una mano che bussava da fuori. Immediatamente ho azionato il no grazie anti-lavaggio e anti-elemosina o anti-tutti e due, poi ho riconosciuto la vecchina con la gamba deformata e il ginocchio retroverso, che non so se sia la stessa ma ce n’è un’altra con un analogo problema in Corso Vittorio Emanuele. Non ho fatto in tempo a vederla bene in viso, perché il gesto di rifiuto era stato piuttosto esplicito e quando ho riflettuto sulla coincidenza si era già mossa verso l’auto dietro la mia. Poi però mi è venuto in mente che ce n’era una con la stessa identica malformazione a Genova, me la ricordo in via XX Settembre sotto i portici. Così ho pensato che potrebbe essere la stessa che si è trasferita a Milano. Ma poi mi sono guardato nello specchietto retrovisore, mi sono detto chissà se sono tre vecchine diverse, e mi sono sentito libero di pensare anche un’altra cosa.

con destrezza

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La ragazza alla cassa del supermercato sta per incavolarsi sul serio, questa volta. “Ma non l’ho nemmeno vista”, dice alla sua responsabile che, per non gettare nel panico la fila in attesa, le ha appena sussurrato qualcosa piano e talmente vicino al volto da farla indietreggiare con un sussulto, probabilmente per causa dell’alito. La signora davanti a me, con le mani nel borsellino intenta a pescare monete utili a ricevere in cambio il minor numero di tagli possibile, drizza subito le antenne. Ha inteso dal labiale che si tratta di una storia di zingari. Chiude subito il portamonete e si volta verso di me, come se avessi qualche informazione in più. Ma non ne so nulla, e non le ho ancora perdonato il fatto di aver avuto fretta nel posizionare il delimitatore di articoli sul rullo, come se volessi accollarle il mio euro e cinquanta di uva bianca. Capirai che malefatta. Così non ho nessuna voglia di appagare la sua sete di cronaca nera e faccio lo gnorri. Dagli uffici si scaglia infervorato il vicedirettore. La responsabile del turno gli corre incontro. “Non è ancora uscita”. Ma allora qual è il problema? La cassiera ci aggiorna. La figlia della tizia che stanzia lì davanti da sempre e a qualsiasi ora del giorno, tanto che è persino immortalata su Google Maps, è uscita di corsa dal supermercato con un pollo con le patate al forno. Senza pagare, ovviamente, non avrà nemmeno 4 anni. Quindi si è seduta sul marciapiede in attesa della madre. Le cassiere probabilmente, ma questo lo penso io, l’hanno vista ma non hanno detto nulla. La responsabile l’ha vista e ha visto che le cassiere di turno hanno visto ma non hanno detto nulla. Il vicedirettore ha mobilitato l’addetto alla sicurezza, ma non c’è stato bisogno. La madre della ladra di pollo con le patate al forno era al reparto latticini e sbuca con una mozzarella in mano, un prodotto di marca sottocosto. Viene messa al corrente dell’accaduto, al che corre fuori, prende in braccio la figlia, il pollo e le patate al forno e riporta tutto all’interno della barriera delle casse. Il vicedirettore, ad alta voce, la prende a male parole. “Li educate così fin da piccoli”. La signora davanti a me riapre il borsellino, la situazione è tornata alla normalità e la sicurezza ristabilita, e cerca nuovamente le monete utili. “L’ho vista sa”, dice alla cassiera, “prima mentre dava il pollo e le patate alla figlia. E che diceva alla bambina vai fuori, e aspettami lì”.

misericordia da passeggio

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Muoversi a piedi da un punto A a un punto B di Milano centro, per esempio dal mio ufficio in zona Porta Venezia a Piazza del Duomo, è uno slalom tra persone che ti fermano per chiederti soldi o venderti qualcosa. A iniziare dalla signora che presidia l’uscita del supermercato qui sotto, la stessa da quando lavoro qui, cioè da 10 anni, ogni giorno, a volte nella variante con bimbo in braccio, e accetta sia denaro che generi alimentari. Da dieci anni, ogni giorno in ogni stagione. Poi due ragazzi più o meno giovani nei pressi dell’ufficio postale. Una richiesta minima di 50 centesimi per comprare il biglietto dell’autobus, il primo, mentre il secondo mi chiede un Ticket Restaurant per comprare un panino. Anche qui, non me n’ero accorto, è già tutto duepuntozero.

Ci sono anche quelli che non parlano, ma nelle posizioni più umili e questuanti lasciano la preghiera al linguaggio del proprio corpo, spesso mutilato, a volte con didascalia in cartone.

A metà tragitto si entra nel cuore turistico e commerciale della metropoli, ed è sempre meno elemosina ma vendita di qualsiasi cosa. I venditori di braccialetti colorati di filo o corda, per esempio, un’offerta che supera ampiamente la domanda, i cui piazzisti talvolta fin troppo aggressivi cercano di mettere alle strette i loro possibili clienti attraverso una prova prodotto, per far toccare con mano, anzi con polso, la qualità degli articoli. E una volta ammanettati dalla fortuna, chi ha il coraggio di andarsene senza pagare il conto?

Nei pressi dei negozi tradizionalmente identificati per acquirenti di sinistra, avete capito quali, ecco gli unici che riescono, ogni volta, a fermarmi. Cerco di accelerare il passo, di fingermi distratto, di parlare al cellulare, ma i rappresentanti dell’editoria specializzata in narrativa e poesia africana non riesco a evitarli. Non so con quale criterio scelgano sempre me, ho la faccia di uno che legge o, meglio, ho la faccia di uno che si fa raggirare facilmente, che in milanese si scrive pirla. Fatto sta che dopo un “hey amico” e una sequenza di saluti che sembra di essere in un video dei Club Dogo sono già lì con i loro volumetti in mano a chiedermi 10 (dieci) euro per libri che non prenderei mai gratis e nemmeno in biblioteca. E ogni volta mi chiedo quanti cazzo di poeti ci siano da quelle parti e quali e quante strutture siano attive nella distribuzione di quei libri. In tutti questi casi, sia chiaro, un “no grazie” è più che sufficiente. L’unica, giuro, volta che mi sono lasciato convincere, ma era tanti tanti anni fa e non ero a Milano, ma è lo stesso perché le librerie davanti alle quali stanziano ci sono in ogni città, il tempo di comprarne uno e di lasciare cinquemila lire al venditore che una mendicante vera, una storica mendicante di quella città, mi derise con quell’accento che è tipico di quella città misto alla sua voce roca, vittima di una guerra tra poveri, con un “bravo, bravo, compra i libretti dai negri”. Si girarono tutti e mi vergognai moltissimo.

Ma torniamo in Corso Vittorio. Si cambia ancora etnia, ed ecco le pistole per le bolle di sapone, ogni tipo di animale che si muove da solo ed emette rumori talvolta iperrealistici, mostriciattoli che ballano, fischietti e giocattoli di ogni sorta, assemblati da personale coetaneo del target di riferimento e costruiti con materiale che solo a guardarli ti si irrita la pelle.

A questo punto si accede al reparto arti visive, con le statue viventi e i ritrattisti. Qui nessuno chiede soldi, sia chiaro. Solo creatività su richiesta. Apro una parentesi: chi di voi si è mai fatto fare un ritratto in Piazza del Duomo? Se sì, quanto avete pagato, per curiosità? Non vi imbarazza il fatto che vi guardano tutti e la maggior parte si burla di voi che tenete la posizione più immobile possibile, mentre il pittore disegna il vostro viso e si nota subito la differenza con i ritratti già pronti di persone normali del calibro di Elvis Presley o Marilyn Monroe?

Chiudo con l’ultima stazione di questa via crucis: l’immancabile foto ricordo con piccioni, non so quanto costi ma si tratta di un mercato che non avrà mai fine. Spalle alla chiesa, seppelliti dal mangime, omaggiati da qualche ricordo organico e quello sì che non dimenticherete mai. Al ritorno, dal punto B al punto A, meglio prendere la metro, lì è certo che nessuno verrà a chiedervi dei soldi, nemmeno cantando.