non ci posso credere

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A un paio di isolati da qui c’è una chiesa che è talmente ben mimetizzata con l’edilizia residenziale che da fuori non la riconosci. Non c’è una facciata o un campanile, un sagrato che ne riveli la presenza. Si tratta di una costruzione moderna, chiaramente. Quando mi sono trasferito a Milano ci scherzavo su sul fatto che è più facile vedere da queste parti chiese di architettura contemporanea ed economica, poi se arrivi da una città che ha il centro storico più grande d’Europa con edifici religiosi millenari noti la differenza. A mia moglie dicevo cose tipo “bello questo gotico fiorito” di fronte a certe mostruosità in cemento armato di periferia che di sicuro non ti invogliano alla spiritualità. Perché trovo che ci sia anche questa componente estetica che ti avvicina a Dio. Arrivi a un punto in cui ti trovi disorientato e la tua vita ha bisogno di una pausa di riflessione, devi mettere in discussione il modo in cui conduci l’esistenza perché c’è confusione dentro di te, ti hanno detto che sei superbo e avaro, ti senti lussurioso e, come tutti, invidioso. Mangi e bevi e ti incazzi per nulla e poi subentra l’accidia e ne hai presi sette su sette, dei vizi capitali, che se ci fosse un concorso a premi tipo turista a vita ultraterrena avresti già vinto. Così ti leghi i capelli in una coda, indossi la camicia bianca e pulita perché allo specchio è così che ti senti in grado di ispirare fiducia e decidi che da oggi andrai a messa tutte le domeniche, perché quel giorno lì, il giorno della svolta, del nuovo inizio, è un dì di festa. Seduto sui banchi di legno della chiesa che dicono sia stata fondata nel 1049 – comunque è davvero la più antica – guardi ad uno ad uno le facce dei santi e dei martiri negli affreschi mentre aspetti che il prete entri in scena. Poi la vecchina a fianco, inginocchiata, ti sorride ed è lì che ti accorgi che l’errore sta in quel modo che hai di concepire la fede-as-a-service, quando hai i momenti di sconforto acquisti una ricarica nella frescura e nella penombra di una navata tardo-romanica ma passano uno o due giorni e non accade nulla. Probabilmente invece occorre acquistare una licenza di utilizzo all’inizio, la vecchina è un power user e si vede nelle rughe di beatitudine e nella postura che la fede ha dato i suoi frutti. Ci vuole tempo.

Invece, nella via qui sotto, se un giorno a qualcuno venisse la folgorazione mistica non riuscirebbe a portare a termine la conversione perché non troverebbe la chiesa, in cemento e mattoni rossi come i palazzi a fianco. Una volta una signora, per strada, mi chiese indicazioni. Sa dove trovo la parrocchia di San Luigi? Credo sia l’unica di questa via ma non la vedo, mi disse. E le confermai che aveva ragione, anche io l’avevo scoperto per caso perché una mattina c’era un funerale e c’era la Mercedes delle pompe funebri parcheggiata davanti, un crocchio di parenti e amici con occhiali neri e vestiti scuri. E almeno un paio di volte al mese, con frequenza variabile, quando passo di lì incrocio i quattro incaricati al trasporto della bara e dei fiori, fumano una sigaretta mentre dentro si officia la cerimonia per il defunto. Stamattina invece c’erano due pullman turistici parcheggiati sulla strada in doppia fila con le quattro frecce alla faccia del traffico che, vabbè che siamo in estate ed è meno intenso, però c’era una discreta coda di automobilisti spazientiti dietro. I pullman si stavano riempiendo di ragazzini per una gita parrocchiale, gli educatori volontari riponevano gli zaini nel portabagagli sotto, una responsabile faceva l’appello chiamando a uno a uno i partecipanti. E in quei frangenti non ti puoi lamentare se sei dietro e hai fretta e non puoi superare la carovana ferma perché nell’altro senso di marcia continuano ad arrivare mezzi in movimento. Se provi a chiamare i vigili quelli danno ragione alla parrocchia e agli organizzatori, nessuno avrebbe il coraggio di multare una chiesa e mettersi contro la curia, no? A me era capitata una cosa simile una volta con un’ambulanza. Mentre i lettighieri erano saliti su per le scale a recuperare l’infortunato, l’autista, o, meglio, il pilota, si era messo in mezzo bloccando tutte le auto e soprattutto me che ero già in ritardo, in una strada stretta in cui sarebbe stato sufficiente mettersi un po’ meglio per non recare nessun problema agli altri. E uno dei volontari, dopo che mi ero lamentato del loro modo di fare le cose, si era anche risentito e mi aveva detto di chiamare pure i vigili, sentiamo il loro punto di vista. Per questo nessuno poi si lamenta. E alla fine i pullman sono ripartiti e i genitori si sono dispersi in gruppetti mentre l’addetto alla manutenzione iniziava a innaffiare le fioriere lungo il marciapiede.

Fede e l’ammazzacaffè

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Con l’amaro in bocca