le mie reazioni non le controllo più quanto mi manchi

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Nessuno aveva compreso ancora in pieno il valore di Franco Battiato, anzi posso affermare con certezza che nessuno lo ascoltasse proprio, quindi la passione con cui seguivamo le apparizioni televisive di Alice nei passionali playback de “Il vento caldo dell’estate” era pura, genuina e tutt’altro che veicolata dalle ingerenze di un certo superfluo intellettualismo di quel tipo che spinge ad apprezzare certe cose ma solo come vezzo, in quanto facilmente collegabili per una manciata di gradi di separazione a qualcosa di universalmente accettato dalle lobby degli opinion leader della cultura che conta. Nel senso che se quando esce qualcosa che ha a che fare in qualche modo con un esponente artistico di grido, il successo del pupillo è assicurato tanto quanto come quello del suo mentore e apprezzarlo è un must. A noi Alice piaceva invece soprattutto perché era una gran bel pezzo di cantante, si vestiva un po’ da sezione della FGCI con il foulard al collo e a nostra insaputa che fossero liriche di Franco Battiato subivamo il fascino autoritario delle sue parole che sembravano più ordini, in una sorta di attitudine a lasciarsi soggiogare dalle donne di polso. Sentivamo Alice e correvamo subito a controllare se avevamo davvero chiuso le finestre per non lasciare l’aria entrare, ci si guardava dentro la coscienza per contare le promesse fatte ed essere pronti a dichiararle, si trovava il motivo per non dimenticare tutto a un tratto. E tutto ciò ancora prima di vederla più incantevole che mai l’anno dopo sul palco di Sanremo e nei racconti di qualcuno che l’aveva vista in una foto che girava di nascosto, rubata chissà a quale rivista non certo per ragazzini, vestita solo di una specie di rete da pescatore ma seduta in un modo in cui, purtroppo, anche chi raccontava doveva immaginare tutto. Fino a quando, esplosa la supremazia di Franco Battiato di lì a poco con quel disco che abbiamo tutti in casa, si definì quella categoria delle cose afferenti a Franco Battiato, con musiche e testi di Franco Battiato e una vera e propria estetica alla Franco Battiato. Che è stato un bene, per carità. Ma mi sento comunque autorizzato lo stesso a identificare in quel “sentimento nuevo” per Alice un moto sincero e per nulla strumentale. Anzi, considerando le sue qualità vocali, decisamente canoro.

da giusto pio al pulcino pio: evoluzione di un disco per l’estate

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Se mi chiedete a bruciapelo un disco da associare al mood estivo ho la risposta pronta ed è “La voce del padrone” di Franco Battiato. Ora non voglio farvi il pippotto su un uno degli album più celebri della musica italiana perché potete leggerne storia, vizi e virtù con una banale ricerca su Google. Rolling Stone Italia lo ha classificato addirittura al secondo posto delle migliori produzioni nazionali di tutti i tempi, secondo solo – e immeritatamente, a mio giudizio – a quel Vasco d’altri tempi di Bollicine che anche lì ce ne sarebbe da raccontare sui numerosi singoli tratti da quell’insieme di successi gettonatissimi (oddio cos’ho scritto) nei juke box delle rotonde sul mare. Il valore del disco di Battiato però secondo me è doppio, perché intanto è del 1981 ed è una sorta di suo coming out artistico perché poi i puristi lo menano ancora oggi del suo periodo progressive e sperimentale, ma vorrei far notare a costoro cos’era la musica commerciale italiana nel 1981. Non si può certo paragonare con Bollicine, tutt’altro genere, però la pietra miliare del rocker di Zocca esce un paio di anni dopo e non tocca certo a me ricordare il peso socio-culturale di quei due anni di mezzo. E poi conoscete il mio giudizio su Vasco. Ma per tornare allo spunto di questo post, associo La voce del padrone al mood estivo perché il disco rimase ai vertici delle classifiche praticamente per tutta l’estate dell’82 e, davvero, non si sentiva altro. E non so spiegarvi il motivo, ma io quell’anno lì non me lo sono filato per niente. Non si trattava di snobismo. Non saprei spiegare il perché ma proprio tra me e Battiato non c’era feeling il che è strano, voglio dire, capisco con Vasco Rossi ma con lui boh. Così ho il rammarico di non aver usato un pezzo come “Summer on a solitary beach” come colonna sonora per la bella stagione dell’anno in cui siamo diventati campioni del mondo, di non aver apprezzato abbastanza la sagacia del testo di “Bandiera bianca”, di non aver fatto mio l’inno di battaglia di “Centro di gravità permanente”, di non aver sognato romanticamente sulle note di “Cuccuruccucu”. Forse era quel titolo autoritario che evocava antiche emancipazioni mancate o una ironia difficile da cogliere nell’universo adolescenziale in cui mi stavo perdendo. Ma vi giuro che poi ho recuperato, adoro quel disco e non me ne separerei per nulla in cambio, nemmeno per due album di Neffa che, a dirla tutta, con “Devi stare molto calmo” da “Summer on a solitary beach” ha preso a piene mani. Magari è un tributo, lui l’ha detto ma nessuno se ne è accorto.



e sommersi soprattutto da immondizie punto

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Alla fine si scopre che nel 2013 tutti sono fissati con il fact checking e la trasparenza e pure le parolacce non se la passano molto bene. VIviamo strani giorni. Come se fosse in atto una corsa retroattiva verso l’onestà, frutto dei complicati algoritmi scoperti dal research & developement dei vostri amici stellari. Perché non ditemi che alla prossima occasione li voterete tutti, che un po’ siete stufi di questo stallo, un po’ pensate che tutto sommato due colpi glieli dareste, pardon, intendevo un’opportunità, un po’ non volete sottrarvi al trend del momento che è quello di negarsi. Giammai è il nuovo paradigma dell’Italia dei tuttofare in parlamento. A saperlo prima che bastava l’intransigenza per sfidare il sistema, uno come me sai che carriera avrebbe potuto fare in politica. Voglio dire, se è sufficiente dire di no e manco morto, conosco gente che altro che quei due lì che sembrano simpatici, come diceva mia nonna buonanima, come la merda nel letto. Sai che spasso avere gente a cena come Crimi e la Lombardo, di cosa parli con due così? Che poi ti dicono che la discussione a tavola sembra Ballarò e ti viene voglia di prenderli a ceffoni come si faceva in classe con quelli stolidi che non capivano mai quando era il momento di lasciar parlare gli altri. Si fa presto a dire ceffoni, che davvero meno male che siamo tutti qui a sfogarci anonimamente sui socialini altrimenti sono certo che a qualcuno verrebbe la voglia, di fronte a siffatta boria cinquestellare, di metter mano alla p38. In quest’epoca di pazzi ci mancavano gli idioti dell’orror vacui, la paura dei chip sotto la pelle e di tutto quel sistema di isterismi che solo la palude del web e del popolo che la abita poteva riabilitare a verità supposte. Se anche uno come Battiato polverizza la sua secolare flemma con un appellativo politicamente incorretto è un segno che il nostro destino vale poco. Siamo condannati a morte. Bersani tenuto in scacco in diretta streaming da due mentecatti che in uno stato normale potrebbero a malapena lavorare al catasto o, se vogliamo dar loro una chance di celebrità, all’equivalente di un programma come Mistero su una tv di quart’ordine è probabilmente il segnale che dobbiamo scrivere le nostre lettere ai nostri cari. Come quelle che leggevamo alle elementari e nessuno capiva come fosse stato possibile. Mia adorata, la massa acritica ha emesso il suo verdetto e la civiltà come l’abbiamo conosciuta tu ed io sui libri di storia, nei film del neorealismo, nei piatti preparati da volontari alle feste popolari, compressa in archivi .zip per poi essere scaricata più agevolmente e pronta all’uso su un qualunque player software presto non esisterà più. Scordati l’emozione di un presidente della repubblica che ti stringe la mano tra due ali di folla in un 25 aprile, leggere i comunicati stampa su un quotidiano di partito, passare l’estate in una spiaggia solitaria, la gioia di vedere un assessore nei posti riservati alla prima di tuo spettacolo, l’oppio, l’assenzio. Licenziare i cantautori per i loro turpiloqui e non poter fare lo stesso con i comici capipopolo. Ma no, non si può. Uno vale uno, e ave atque vale.

che crea falsi miti di progresso

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I Subsonica hanno pubblicato una nuova edizione del loro ultimo lavoro, Eden, in cui hanno incluso anche la loro rivisitazione di “Up patriots to arms”, un pezzo che non ha bisogno di presentazione alcuna e che fa parte di una delle migliori produzioni musicali italiane del secolo scorso che è l’album Patriots di Franco Battiato. La band torinese ne propone la cover da un po’ di tempo, recentemente era compresa in un medley con “L’ultima risposta” ed oggi, finalmente, è stata registrata in studio con tutti i crismi, voce di Battiato compresa. Chiaro che stiamo parlando di una di quelle canzoni così intense e belle che è quasi impossibile eseguirla male, puoi anche rivoltarla come un calzino ma conserva comunque il suo fascino. Quindi grazie a Rael che mi ha dato l’ispirazione, e qui sotto trovate riunite l’originale, la prima cover che io ricordi che risale addirittura ai Disciplinatha, una versione rockettara dei Negrita e la più recente di Samuel e soci (in qualità meno che disdicevole, ma è quanto passa per ora il convento).