la bellezza piace a tutti

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Non è detto che per sottoporsi a un’intervista in cui il giornalista è dall’altra parte della linea uno debba per forza cercare un punto riparato o deserto. Di sicuro so che il silenzio aiuta nella concentrazione ma oggi è tutto diverso. Siamo così abituati a distrarci che rispondere a delle domande in mezzo ad altre persone non ci fa né caldo né freddo, anche perché le suddette altre persone sono altrettanto abituate a fare quello che devono fare mentre qualcuno parla ad alta voce al telefono. Il problema è che le conversazioni medie a cui la gente ci sottopone sapete bene di che livello sono, tanto che ormai le frasi sgrammaticate e i grugniti che rivolgiamo al nostro interlocutore passano senza problemi tra le maglie della soglia dell’attenzione di chi ci sta accanto, che ormai è più che uso nel prosieguo delle sue attività senza badare al resto.

Se vi imbattete invece in qualcuno che si sottopone a un’intervista le cose cambiano radicalmente perché se uno è intervistato è perché è autorevole nel suo ruolo. Voglio dire, a voi vi ha mai intervistato qualcuno? A me è capitato una volta sola un’intervista seria e la dinamica fa abbastanza sorridere, per questo la racconto sempre e sono sicuro di averla già scritta in qualche altro post. Sapete chi è, vero, John Vignola? Oltre a essere un giornalista, critico musicale e conduttore radiofonico piuttosto conosciuto è uno che è nato e ha vissuto a pochi km dal mio paesello di origine. Nella mia passata vita da musicista ho rilasciato un’intervista a John Vignola ma mentre mi trovavo a un capo della linea telefonica a Milano quando, invece, avremmo potuto incontrarci di persona a metà strada tra casa sua e la mia, percorrendo entrambi non più di cinque minuti di auto.

Comunque, tornando a quello che dicevo prima, se non vi hanno mai chiesto il vostro parere per metterlo per iscritto da qualche parte significa che non valete un cazzo ma come me e come altri miliardi di esseri umani che popolano questo pianeta. Non valete un cazzo e nessuno è interessato a quello che pensate su qualunque tematica, dalla ricetta della carbonara ai vaccini. Se invece avete mai assistito a qualcuno che risponde a delle domande poste da un giornalista vi sarete resi conto che quel qualcuno è un esperto in qualche cosa e che, soprattutto, parla un italiano che parlato così bene ce lo possiamo scordare. Ieri mattina ero in un posto dove si pratica il co-working e, per questo, molto trendy e c’era uno con la maglietta dei Ramones seduto alla reception che spiegava a qualcun altro al telefono cose inerenti il populismo citando gli argomenti del momento che vanno dai grillisti a Le Pen a Trump alla lega di Slavini (ho sbagliato il nome apposta tanto lo disprezzo). Il tizio con la maglietta dei Ramones aveva un lessico e una padronanza dell’ars retorica d’altri tempi e spiegava concetti davvero complessi ma con una naturalezza che mi sembrava di capire anche a me. E lo faceva in mezzo a tutti e tutti siamo rimasti piacevolmente sorpresi intanto di quella spigliatezza che non ha fatto una piega malgrado si trovasse in un posto pubblico, e poi finalmente abbiamo potuto apprezzare un dialogo di alto livello che ci ha subito distratto da quello che facevamo tanto erano costruite bene frasi e periodi.

L’intervista è durata un bel po’ e io ho pensato che il tizio con la maglietta dei Ramones fosse uno di quelli che contano e che si vedono nei programmi in cui chi ha la possibilità di condividere le proprie opinioni ci può andare anche vestito un po’ così a cazzo, uno di quegli ambienti televisivi dove più sei messo male e più buchi lo schermo. Invece poi il tizio con la maglietta dei Ramones ha chiuso la telefonata, è rimasto solo il silenzio e tutti ci siamo concentrati su due ragazze che sono passate in mezzo a noi. Anche il tizio con la maglietta dei Ramones le ha osservate camminare, soprattutto quella bionda che era quella che aveva colpito anche a me. La spiegazione che ho dato a questa folcloristica caduta di stile è però che non si tratta di una caduta di stile, né tantomeno è folcloristica, perché la bellezza comunque piace a tutti.

prendiamoli a testate nazionali

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A pranzo alla mensa di uno dei principali gruppi editoriali, ospite di un amico, mi appunto mentalmente due particolari che so che prima o poi utilizzerò da queste parti. Delle esperienze non si getta via nulla, come il maiale. Il primo è la visione di Paolo Mieli, così è facile anche capire a casa di chi sto scroccando un piatto di zuppa di lenticchie. Lo seguo in fila alla cassa con un completo blu. Il direttore prende il vassoio e si mette in cerca, come tutti, di un tavolo libero.

Noto quindi un paio di dipendenti più giovani della media motivati verso il comune obiettivo. Due venti-e-qualcosenni che si fanno spiegare dal barista come funziona il meccanismo della mensa, probabilmente sono alle prime esperienze non solo professionali. Valutano se prima occorra munirsi di scontrino o del vassoio, se la macedonia sia alternativa al dessert o al caffè. Considerando il momento storico, mi viene voglia di andare a disturbarli per congratularmi con loro di essere lì e di esserci da poco, ma non vorrei generare ulteriore confusione nel loro tentativo di osservare la procedura, sapete come sono i primi giorni negli ambienti professionali inesplorati. E vorrei anche estendere loro i complimenti per la tenacia con cui probabilmente ci sono arrivati. Ci sono più possibilità di vincere un conclave in Vaticano che di lavorare nei media e nei giornali di quel livello, quindi è encomiabile che ci siano ancora giovani che scelgono volontariamente una vita di stenti, precariato e incertezze, e credo di essere stato fin troppo clemente nell’attribuzione dei termini per qualificare il settore.

Mentre li osservo sfoggiare il giovanilismo in eccesso del loro outfit – una delle peggiori piaghe del nostro tempo che imbruttisce individui di ogni età, io parteggio per il completo blu di Paolo Mieli – mi sovviene la consueta metafora dei funamboli su un crepaccio per ottenere la più opportuna rappresentazione visuale di un lavoro molto difficile che è già difficile in partenza, quando cioè lo cerchi. Tutti vi ambiscono non solo perché si sta seduti, uno può farlo un po’ come vuole, dove e quando preferisce. Senza contare che ogni volta che un mezzo di comunicazione diventa popolare tutti fanno credere che c’è bisogno di gente specializzata, questo è successo prima con i giornali poi con la radio quindi con la tv e ora sul web. Dev’essere così che funziona l’economia. Ma lo spunto che mi ha dato l’opportunità di raccogliere queste riflessioni l’ho avuto ieri sera, quando durante il programma di Rai3 Gazebo sono stati trasmessi alcuni stralci dalla manifestazione dei pentastellari di domenica scorsa a Genova, iniziativa nota ai media – demerito quindi anche degli operatori di stampa e tv – come vaffaday o qualcosa del genere.

In più occasioni, ma non è la prima volta che accade, il movimento mascherato dal basso che più basso non si può ha dimostrato una paura immotivata  nei confronti dei giornalisti, altrimenti non si spiegherebbe l’accanimento con cui in ogni occasione vengono additati dai megafoni al soldo della coppia di capelloni canuti come i primi della lista dei nemici del popolo, mettendo nel mucchio dall’opinion leader più sovraesposto – uno come Paolo Mieli, per esempio – all’articolista meno blasonato, in un settore in cui oggi tra rete, freepress e cani sciolti c’è un livello di confusione senza precedenti.

Nella mia esperienza quotidiana, ma se cercate in giro troverete conferma di ciò, il numero di lettori di quotidiani è soggetto a un calo mai visto. Fino a qualche anno fa in una qualsiasi carrozza sul treno dei pendolari del mattino qualcuno con il Corriere o Repubblica si intravedeva. C’era persino chi ti sbatteva in faccia la sua, di faccia, una faccia molto da cazzo coperta dal Foglio, dal Giornale o da Libero. Molti di questi sono stati soppiantati con altrettanta cieca supponenza dai lettori del Fatto Quotidiano, e come non mai abbiamo cominciato a percepire il vento della cospirazione durante le trasferte quotidiane, anche con i finestrini aperti e lontano dalle toilette chimiche. Dalle ultime elezioni a questa parte, non so se sia casuale, mi accade di trascorrere intere settimane senza vedere nemmeno un lettore con un qualsiasi quotidiano aperto davanti. Ecco, il fatto che M5S abbia così paura dei giornali, oggi che i giornali non se li incula più nessuno, rimane un’incognita.