Uno degli aspetti più buffi della nostra cultura non ĆØ tanto tu scendi dalle stelle si/tu scendi dalle stelle no nelle scuole di Rozzano, bensƬ quanto sia sopravvalutato l’insulto personale, verbale o scritto o mimato o fatto pervenire attraverso terzi. Avete mai assistito a due che vengono alle mani perchĆ© uno ha insultato un altro? Ora mi spiegate che cosa c’ĆØ di cosƬ offensivo nell’insulto? Se qualcuno vi dĆ dell’imbecille significa che siete davvero imbecilli? Basta una parola di qualcuno e automaticamente voi vi trasformate in quello che dice nemmeno quel qualcuno fosse una delle fate della bella addormentata nel bosco? Basta cosƬ poco a smontare la vostra autostima? Se la risposta ĆØ si, accomodatevi in una puntata a vostra scelta di “In treatment”. Se invece siete della mia parrocchia possiamo parlarne. Se uno mi dice “figlio di puttana” non ĆØ che mia madre, santa donna quasi ottantenne, si tramuta in una maitresse di una casa di piacere. Tu mi dici “figlio di puttana” e a me scappa da ridere, perchĆ© mi immagino mia mamma alle prese con una impegnativa attivitĆ di quel tipo e da una parte proprio non ce la vedo, dall’altra anche se fosse buon per lei. Mi dai dell’idiota? A parte che potresti avere ragionissima, poi, voglio dire, la tua parola contro la mia e vediamo dove sta la ragione. Potrei elencarvi tutti gli insulti più comuni e più considerati italianamente offensivi (spoiler: se siete sensibili alle volgaritĆ andate avanti di due o tre righe): cornuto, frocio, rottinculo, stracciacazzi, coglione, faccia di merda (questo ĆØ molto anni 70, vero?), ciula, abbelinato (tipicamente ligure), stronzo, terrone, grillista (ops mi ĆØ scappato), rincoglionito, zoccola, bastardo, cretino. E quindi? Anche se lo fossi, che m’interessa essere creduto uno stupido da te? Quando vedo la gente che salta su perchĆ© qualcuno l’ha insultata davvero mi prende lo sconforto. Ma c’ĆØ un però, però (ed ĆØ un errore voluto, spero comprendiate, razza di ignoranti. Ve la siete presa? Male, vuol dire che non avete capito un cazzo di questo post). Io so che molti di voi sono, come me, impermeabili all’insulto. Ma c’ĆØ una cosa, una sola, una in particolare, di fronte alla quale ciascuno di noi s’inviperisce nemmeno andassimo lƬ a strappargli le unghie. Gli italiani possono sopportare tutto, qualunque insulto, ma guai a suonargli il clacson contro. Il suono del clacson dev’essere un concentrato del peggio di ogni sentimento negativo da parte di chi lo indirizza e, dalla parte del destinatario di cotanta onta, un affronto cosƬ offensivo da lavare solo con il sangue. Provate a dare un colpo di clacson a qualcuno e costui, al volante davanti, dietro, nella corsia di fianco, si sentirĆ ferito per l’orgoglio nemmeno gli aveste soffiato il o la partner sotto il naso. CosƬ pensavo che il vero giro di boa dei social network, anzichĆ© il pollice verso, il non ti seguo più, il non mi piace, potrebbe essere il colpo di clacson. Provate a farvi largo con il clacson nella vita, al lavoro, su Facebook. Voi e la vostra utilitaria vi troverete a dominare presto il mondo.
insulti
colpito alla testa da una parola vagante
StandardCon un tempismo perfetto, proprio oggi che prende il via la la campagna sociale contro la discriminazione “Anche le parole possono uccidere“, una campagna a tinte forti e che, dicono, farĆ discutere, un campagna contro gli insulti (ciccione! negro! troia! terrorista!), sono in due a prendersi a male parole e a venire in poco tempoĀ alle mani. “Mia madre!!! Hai detto mia madre!!!” grida un uomo con un’impostazione che sembra abbia studiato davvero recitazione o forse ĆØ solo la risonanza della fermata della metro di Garibaldi. Quello che potrebbe essere un teatrino assurge in un lampo a una tragedia shakespeariana. In due lo stanno tenendo fermo con una temerarietĆ d’altri tempi, sottoponendosi alla sua furia scomposta. L’uomo costretto all’immobilitĆ sporge innaturalmente il collo verso l’alto come un gallo da combattimento scoprendo il gozzo, manifesto sintomo di ipertiroidismo, che va su e giù seguendo la verbalizzazione dell’onta subita. “Mia madre!!! Hai detto mia madre!!!”, ripete, come se fossimo nell’ultimo atto de “Il Trovatore”, trascinati dal pathos della vendetta. Si vedono persino gli sputacchi che risaltano durante i monologhi quando sul palco, complice certe luci e il fondo nero, la saliva dell’attore ruba la scena a tutto il resto.
Intuisco l’offesa verbale che sta alla base di quel battibecco rinforzato e mi viene da chiedere a tutti perchĆ© sentirsi dire “figlio di puttana” costituisca ancora un casus belli. A parte il fatto che mi sfugge l’amoralitĆ delle attitudini sessuali e la frequenza di qualunque pratica in quel senso, o anche nell’altro, con una o più persone monouso o reiterate, quando si tratta dei propri cari. Anche sentirmelo dire per pura volontĆ di oltraggio da terzi, sia che siano utenti finali dei favori lussuriosi dei mieiĀ genitori che si tratti di un pour parler con finalitĆ di dolo, la cosa non mi fa nĆ© caldo nĆ© freddo. Ma questa ĆØ una reazione a qualunque presunto affronto a parole, sia che sia comprovabile (inetto! cialtrone! presuntuoso! nasone! comunista di merda! snob! senzaculo!) sia che derivi da una illazione (pederasta! muso giallo! obeso! quattrocchi! canaglia!). Quindi perchĆ© inalberarsi per le insolenze altrui? Le parole volano ancora, soprattutto oggi che ci scriviamo tutto.
Di certo però questo non può essere un argomento di conversazione a cose giĆ fatte, la parte lesa non sembra in grado di lasciarsiĀ condurreĀ alla ragionevolezza. Soprattutto quando finge di calmarsi e, approfittando della presa meno decisa di chi gli sta facendo scudo, si scaglia contro il ragazzo africano che continua a rincarare la dose nel suo italiano poco fruibile. Forse anche il vilipendio ĆØ bene adoperarlo solo quando lo si padroneggia con perizia, non trovate? Altri spettatori intervengono per separare quel secondo attacco, i due contendenti vengono allontanati a una distanza di maggior sicurezza, e l’attenzione tra i presenti scema definitivamente. Tanto che i più si vergognano, come al solito, di aver indugiato con la morbositĆ che ci contraddistingue attirati dal consueto voyeurismo per la violenza, anche solo verbale che poi, ripeto, trovo che violenza non sia. Ma le parole, dicono, sono importanti. La ragazza che ĆØ vicino a me riprende la sua conversazione telefonica e chiede al suo interlocutore che cosa danno stasera su Internet. Capisco cosƬ che ci sono ben altri problemi da risolvere prima, occorre davvero indagareĀ più a fondo per trovare il perchĆ©.