Il vento, venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui s’accorgono solo poche anime sensibili

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Ieri lungo un’elegante strada perpendicolare a viale Molise, che se non siete di Milano (non è un difetto, nemmeno io sono nato qui) è uno degli anelli concentrici a elevato scorrimento intorno al centro città, ho sentito forte e chiaro il profumo dei funghi. Non funghi cotti, come li chiamiamo noi i funghi a funghetto o fritti o anche scottati sulla stufa di ghisa come quella che avevo in campagna. Nemmeno i funghi sott’olio che preparava mia nonna con interminabili giorni di lavorazione, le superfici dei mobili disponibili sgomberate dai suppellettili e sommerse di funghi bolliti e il forte odore dell’aceto. Per non parlare dei funghi da supermercato, quella roba insulsa che la usi per cucinare il sugo ma che non sa di nulla e a mangiarla non dà nessuna soddisfazione. Intendo invece il profumo dei funghi con il gambo piantato saldamente nel sottobosco e la cappella che si mimetizza con le foglie che l’autunno non risparmia a nessun albero, sempreverdi esclusi. Ho attraversato la strada e appena salito sul marciapiede opposto mi è subito arrivato alle narici l’odore inconfondibile dei funghi. Non potevo fermarmi perché i treni non aspettano quelli che si distraggono a cercare i funghi in città, e, a proposito, mi sono sentito subito un po’ come Marcovaldo. Ho dato solo un’occhiata veloce in giro ma di aiuole o strisce di terra non asfaltate dove trovare i funghi urbani non ne ho viste nemmeno mezza. Illusione olfattiva? Reminiscenza proustiana? Oppure ho forse equivocato un odore corporeo di qualche passante dalla discutibile igiene personale? Chissà. La stagione però dovrebbe essere quella giusta, così ho deciso che oggi proverò a cercare con più calma. Vi do appuntamento a dopo la lavanda gastrica.

quando mancano le figure

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Con i figli l’utilizzo di un minimo di psicologia è un fattore decisivo. Dicono che la facilità con cui si riesce a raggirarli è proverbiale ma mica tanto perché raramente, esplicitando direttamente il proprio obiettivo, li si riesce a convincere con le buone su una determinata cosa. Aggiungo che anche con lo zucchero la pillola non va sempre giù e alla fine, quando ci sembra di aver perso troppo tempo in una modalità di confronto che a noi adulti sembra del tutto irrazionale e a un bambino tutt’altro, si opta per l’imposizione, cose tipo conto fino a tre con la voce grossa. Perché non sempre prendere alla lontana una comunicazione antipatica, indirizzarli verso un loro dovere o semplicemente suggerire loro un qualcosa che, una volta provato, siamo sicuri che gli piacerà è una metodologia che va a buon fine. Ogni bambino, come noi del resto, è irremovibile su qualche aspetto. Ma, a differenza nostra, non credo si tratti di pigrizia mentale, ignoranza o cocciutaggine fine a sé stessa. Mia figlia, per esempio, non ne vuole sapere di uscire di casa, un classico dei fine settimana, e questo indipendentemente da quanto la controproposta sia allettante o meno e comprenda ricompense materiali o no. Questo per dire che a volte anche facendo proposte ricche di divertimento in modo intelligente e subdolo, cioè senza chiedere il suo parere e dando per scontato che la cosa per cui ora ci prepariamo e usciamo si farà e la messa ai voti è fuori discussione, si ottiene un pugno di mosche in cambio e si passa al piano B, più grossolano ma di sicura efficacia anche a discapito dell’umore e dell’armonia del gruppo.

Ma c’è un ambito in cui mia moglie ed io non dobbiamo fare il minimo sforzo per avere il suo consenso, e dico per fortuna perché si tratta di una risorsa impagabile che fa sì che nostra figlia non si annoi mai (non credo di aver mai sentito dire da lei parole come non so cosa fare), e questo è fondamentale, soprattutto essendo figlia unica. Mi riferisco al momento della lettura. Leggere libri e fumetti è una delle sue attività preferite, si muove perfettamente a suo agio in biblioteca e sceglie i titoli e gli autori per l’infanzia che preferisce. Il lato più piacevole di tutto questo è che si fida di noi e dei libri che le proponiamo, difficilmente si rifiuta di iniziare una storia per partito preso e altrettanto raramente le lascia a metà, anche se talvolta è scettica sulle edizioni completamente prive di illustrazioni. I disegni hanno un forte appeal sui bambini, consentono di amplificare la loro fantasia fornendo spunti visuali per le sceneggiature mentali che costruiscono procedendo nelle trame più intricate. Ma anche qui abbiamo a che fare, talvolta, con atteggiamenti del tutto incomprensibili per i genitori. Con mio grande rammarico, non sono ancora riuscito a farle leggere Marcovaldo di Italo Calvino, uno dei testi più divertenti per l’infanzia che ricordi. E questo perché sono in possesso di una edizione economica e solo testo dell’opera, e tutte le volte in cui ho provato a sottoporgliela ho avuto solo ritorni negativi. Ho cercato di descriverle la ricchezza dei racconti e la figura stessa del protagonista, ma senza successo. Nessuna strategia di persuasione ha funzionato, mi sono offerto anche di leggerlo a voce alta ma niente. Un’opportunità guastata da un tascabile da due lire, senza nemmeno un disegno. E qui con la psicologia c’è poco da fare, non c’è strategia che tenga, e non è possibile imporre nulla con l’autorità. Quel libro di sole parole stampate non l’ha mai convinta a priori, e il guaio è che non riesco a recuperare in nessun modo. Un semplice “non sai cosa ti perdi” non è assolutamente sufficiente.

ad Amerigo ciò pareva sublime

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La sobria efficienza del Presidente del Consiglio e dei suoi ministri nel corso della conferenza stampa di questa sera, al di là dei contenuti e di tutto quello che sarà, mi ha riportato alla mente quel passaggio de “La giornata d’uno scrutatore”, in cui Italo Calvino si bea dell’ordinarietà e del grigiore di una macchina pubblica che fa il suo dovere in confronto ai fasti e alle pompe a cui il potere ci ha abituati – del fascismo per lui, del precedente governo per noi – e agli ossequi che una certa Italia ha tributato ai relativi cotillon. Poi, alle lacrime del ministro Elsa Fornero mi sono stupito anche io, sapete, non siamo più abituati alla spontaneità, quindi mi sono voltato verso mia moglie, ho visto anche lei visibilmente commossa, e ho pensato che la sensibilità era un aspetto della politica che quasi non ricordavo più.

l’Italia che non esiste più

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La democrazia si presentava ai cittadini sotto queste spoglie dimesse, grigie, disadorne; ad Amerigo a tratti ciò parve sublime, nell’Italia da sempre ossequiente a ciò che è pompa, fasto, esteriorità, ornamento; gli pareva finalmente una lezione d’una morale onesta e austera; e una perpetua, silenziosa rivincita sui fascisti, su coloro che la democrazia avevano creduto di poter disprezzare proprio per questo suo squallore esteriore, per questa sua umile contabilità, ed erano caduti in polvere con tutte le loro frange e i loro fiocchi, mentre essa, col suo scarno cerimoniale di pezzi di carta ripiegati come telegrammi, di matite affidate a dita callose o malferme, continuava la sua strada.