se il karma è questo allora preferivo i jalisse

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Ormai a cinquant’anni suonati vi sarete ben resi conto che non esiste nessuna relazione di causa-effetto tra cose che non si vedono e cose in carne e ossa, e che probabilmente se queste cose non si vedono è perché non esistono e, di conseguenza, non hanno nessuna capacità di fare il bello e il cattivo tempo qui sul pianeta terra. Forse il bello di scrivere storie e di fare film è proprio questo: ci piace creare scenari inventati in cui si muovono persone inventate che fanno quello che gli diciamo di fare noi, un mestiere che alcuni attribuiscono anche a divinità singole o plurime le quali, disegnando tutto quello che vedete (questo post compreso ma per interposta persona) si occupano poi di mandare in esecuzione gli algoritmi e quella sfilza di if-then-else che a noi mortali ci accompagna da mattina a sera e anzi, a onor del vero è in funzione anche di notte tant’è che ogni tanto succede che qualcosa va in crash e, tutto sommato, non è nemmeno un brutto modo per chiudere il programma. Vi è arrivata la metafora?

E se questa dimensione religiosa risulta una millenaria fantasia, che dire della corrispondenza tra il nostro comportamento e quello che ci può succedere di conseguenza, il cosiddetto frutto delle azioni compiute da ogni vivente che può determinare una diversa rinascita nella gerarchia degli esseri e un diverso destino nel corso della susseguente vita o per lo meno una scorta di fortuna per vivere sufficientemente in pace il prossimo futuro? Ieri sera, tra la numerose interviste a cui si è sottoposto Francesco Gabbani a ridosso della finalissima dell’Eurofestival (che, tra parentesi, se il reggaeton è lo sharknado della musica possiamo dire che l’Eurofestival è lo sharknado delle manifestazioni canore e davvero non mi spiego quanto siamo poveri nel cervello se riteniamo l’Eurofestival una cosa così da sfigati che ha fatto il giro ed è diventata un appuntamento che bisogna seguire per essere fighi), dicevo che tra la numerose interviste a cui si è sottoposto Francesco Gabbani a ridosso della finalissima dell’Eurofestival in una ha detto di non conoscere le sue probabilità di vittoria ma, a proposito del karma protagonista della sua hit, era consapevole di essersi comportato molto a modo prima per ottenere tutto il successo che ha comunque raggiunto, indipendentemente dall’esito della competizione.

Sappiamo però poi come è andata a finire, o almeno lo sappiamo noi che per sembrare fighi abbiamo più o meno seguito la finalissima dell’Eurofestival. Come un qualsiasi appuntamento importante in cui impegnandosi al massimo c’è la possibilità di vincere, non ci siamo impegnati al massimo e siamo arrivati sotto a nazioni che sarebbe meglio che la musica la vietassero ai loro abitanti, tanto non se ne capiscono. D’altronde se vai a un festival come quello che lo seguono per la maggior parte in posti dove la lingua italiana non se la incula di pezza nessuno, con un testo che non fai nemmeno lo sforzo di tradurlo in inglese perché guai si perdono tutti i giochi di parole, allora piazzarsi come ci siamo piazzati (e come ci piazziamo negli altri appuntamenti importanti della storia e dello spettacolo) non fa una grinza.

E il mio non è assolutamente un giudizio morale perché sono il presidente onorario del club di quelli che si accontentano e, come dice il motto, un po’ di goduria se la gustano. Perché si tratta di un club che è in realtà uno spin-off o, per dirla in politichese, una corrente di un club più nutrito che comprende tutti quelli a cui le cose non vanno come devono andare e che possono dimostrare, come dicevo ora, che karma o non karma, credenze a cui rivolgere preghiere o fare fioretti o meno, le cose come vanno non le smuovi di un millimetro a meno che non ti rimbocchi le maniche e non ti apri una partita iva per diventare un fautore del tuo stesso destino che suona un po’ come la formula “datore di lavoro di me stesso” che hanno i vostri amici dell’università della vita su Facebook.

E per farvi un esempio del karma di noi occidentali vi racconto questa storia che è successa a un mio amico. La figlia di questo mio amico ha giocato fino alla stagione scorsa in una squadra di pallavolo allenata da un vero e proprio subumano che insultava pesantemente le ragazze durante le partite e che faceva di tutto per mettere le giocatrici (e di conseguenza il loro genitori) in competizione con meccanismi psicologici piuttosto provanti per l’età delle atlete, tutte adolescenti. “Sei una merda!” gli urlava da bordocampo, “Fai cagare!”. Così, a fine campionato, i genitori hanno iscritto la ragazza in un’altra società che si è rivelata un vero e proprio paradiso della sportività. Il nuovo allenatore è un educatore oltre a essere un tecnico qualificato, le ragazze fanno gruppo, tra i genitori vige un’armonia che, mi racconta il mio amico, difficilmente si vede altrove. L’unico problema è che la vecchia società, quella con l’allenatore subumano, gioca per vincere con alti tassi di agonismo generati dal terrorismo che il subumano incute sulle atlete. Nella nuova si pratica invece lo sport, le ragazze si divertono di brutto e se si vince o si perde è lo stesso, l’importante è fare squadra e partecipare. Ma il campionato giovanile delle società “cattive” e di quelle “buone” è il medesimo, tant’è che proprio stamattina, mi racconta ancora il mio amico, le due squadre, quella vecchia con l’allenatore subumano e quella nuova con l’allenatore gentleman, si sono scontrate. La morale della storia del mio amico qual è: se esistesse il karma, se esistesse una qualunque forma di giustizia divina o di legge naturale per cui chi si comporta in modo sbagliato secondo i canoni della società occidentale (la stessa di occidentali’s karma), un incontro tra la squadra guidata dal subumano e quella dell’educatore dovrebbe concludersi come in un film, come in Rocky, in cui il cattivo soccombe e il buono, anche con gli occhi pesti, si gode gli abbracci e la vittoria. Ma nella vita vera in cui non c’è nemmeno un sceneggiatore sfigato come il sottoscritto gli eroi buoni, o almeno la figlia del mio amico e di conseguenza il mio amico che è il padre, difficilmente hanno la meglio e se qualcuno vi illude del contrario non dovreste credergli.