vedo gente, faccio gaffe

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Uno cerca di essere il più maturo possibile, equilibrato, ponderato nei commenti, fermo nei propri convincimenti, sempre consapevole delle cose che vanno dette e che vanno fatte seguendo i propri principi. State calmi, ho scritto “cerca”. Ma come succede (appunto) alle elementari, un giorno ci si ritrova un compagno di banco un po’ caciarone, e siccome il 90% dei propri comportamenti sono pose, basta un calo di pressione, una giornata con un tasso di umidità da Foresta Amazzonica, uno sbalzo umorale da stomaco vuoto che le pastiglie dei freni inibitori saltano di punto in bianco e ci si ritrova a braccetto – in senso figurato – con il compagno di banco di cui sopra, con anni di studio e di applicazione tecnica del saperci fare in società gettati, pardon, nel cesso. Come, una volta, chi si diceva repubblicano (sì, un elettore del PRI) al terzo bicchiere di vino intonava canzonacce del ventennio, o, dall’altra parte, era sufficiente trovarsi in tre a sinistra per programmare piani quinquennali per il governo della propria cittadina. Nel mio caso, il mio raffinato (ehm) senso dell’umorismo talvolta scende a un livello tale da non sfigurare tra i testi di Elio e le Storie Tese. Attenzione, non si tratta di una comparazione qualitativa (magari avessi il loro acume) bensì di, diciamo, volgarità gratuite.

Quindi attenti, mentre date velocità ai vostri sproloqui, a chi vi sta vicino e la cui conoscenza non è approfondita, perché la figuraccia è pronta a materializzarsi tra voi e, per esempio, il collega arrivato da poco. Che, se timido, non vi fa notare nulla e poi, quando venite a sapere da terzi che è proprietario di una Mini dopo che avete messo la suddetta autovettura al top della classifica degli status symbol da tamarri durante un discussione in cui lui era presente, difficilmente riuscirete a guardarlo negli occhi. A volte invece, colpito nei sentimenti ma desideroso di vendetta immediata, il vituperato prossimo vi gela con un “mia sorella lavora in banca” lasciandovi a bocca aperta alla fine del vostro monologo sulla pessima abitudine di prendersela con impiegati pubblici mentre dalle cassiere della filiale di un qualsiasi istituto di credito, solo perché ostentano un filo di perle e hanno potere di vita o di morte sui vostri soldi o perché il lavorare in banca una volta era il mestiere dei vip di quartiere, le persone accettano anche i più biechi torti. Ma il peggio di tutto, retaggio proprio della cultura da quattro amici al bar che non volevano cambiare nulla se non il loro tasso alcolico, è la classica, imperdonabile battuta sulle preferenze sessuali – nulla di omofobo, sia ben chiaro – che ti è uscita inavvertitamente proprio quando la tua nuova collega, appena arrivata, è gay ed è lì con te. E per fortuna che siede dietro, in macchina, e non coglie il palese arrossamento delle tue gote ma solo un muto imbarazzo, la vergogna fare capolino nello specchietto retrovisore, la voglia di chiedere alla maestra di cambiarti di posto ma a mille miglia di distanza, con la promessa di non farlo più.