ci sarà anche, da qualche parte, un presepe online interattivo e social

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Possiamo parlarci apertamente, osservanti o praticanti o niente di tutto questo, e confessarci che il presepe ci piace perché è un plastico, la riduzione in miniatura di un mondo come i trenini, le autopiste, il subbuteo e tutto quello che continua ad attirare il maschio adulto probabilmente per qualche attitudine innata al controllo sugli spazi più piccoli di noi. In casa comandano le nostre mogli, in ufficio i nostri superiori, nella vita pubblica a torto o a ragione i “grandi” che con il nostro voto deleghiamo a prendere decisioni in nostra vece, per questo appena vediamo un ambiente ridotto in scala ci viene d’istinto di andare lì e osservare ciò che è alla nostra portata, magra consolazione. Il gioco che ne deriva è proprio questo, no? Stare fermi e guardare e basta, ci sappiamo accontentare. Questo per dire che il presepe siamo noi uomini, il sesso maschile, che insistiamo per farlo. Le nostre compagne ogni anno cercano di farci desistere perché il presepe comporta disordine, roba da portare in casa dalla cantina, subbuglio, mensole da liberare ad hoc e quindi ripiani da stipare con le cose spostate per lasciare spazio alla rappresentazione della natività.

E chi se ne importa se gli elementi non sono tutti dello stesso tipo, se le proporzioni tra agnelli, certi pastori con la mercanzia in testa, il mulino e la capanna non sono proprio quelle giuste. Io per esempio ho una predilezione per una serie di casette che ha costruito mio nonno, che è mancato nel 72 e potete immaginare da quanto tempo resistono ai passaggi di mano e traslochi vari. Mio nonno era un contadino e muratore, di quelli che un tempo erano in grado di costruirsi la casa da soli, e se la cavava anche con lavoretti di falegnameria. Le sue casette del presepe riflettono la sua forma mentis rurale, ma il colpo di genio consiste nel rivestimento delle aperture delle finestre e dell’uscio con fogli di plastica rossa trasparente. Le lucine, collocate dentro, danno un effetto particolarmente suggestivo che in periodi come questi, dove basta un accordo in minore per farmi venire il magone, considerando che è il primo Natale che passo senza mio papà, danno quell’effetto mistico dei vetri colorati nelle chiese, quello in grado di convertirti se non alla religione almeno a guardarti dentro. Al nonno comunque piaceva anche il vino, ho come un ricordo di qualcosa di rosso scuro mescolato con la gazzosa nel bicchiere a pranzo, ma se così fosse significa che ho bevuto alcolici a cinque anni, probabilmente mi confondo. E ci sono altre opere del nonno: una specie di pinocchio in legno, un burattino bidimensionale costruito e assemblato nelle varie parti di profilo, e il suo capolavoro, un set completo di gusci di noce incollati sotto le zampe di un cagnolino di peluche, non chiedetemi il motivo né chi gli ha chiesto di farlo perché non ne sono a conoscenza. Sta di fatto che il cagnolino elaborato in versione rally viaggia sui pavimenti in marmo che è un piacere.

Il presepe è quindi una costante della nostra cultura catto-qualcosa perché fa parte della tradizione, è una cosa che non dovete toccare ai fanatici del crocefisso nelle scuole e della famiglia eterosessuale. Ma nemmeno ai bambini come me, come ero io intendo, quelli che si mettono a spiare questo spaccato di società immobile e pura, anche se primitiva. L’approccio al suo allestimento da parte dei più piccoli, lo avevo io e l’ho notato pure in mia figlia, è lo stesso dei giochi con gli animali e i pupazzetti. Io addirittura, suggestionato dall’attualità dei tempi – gli anni 70 – filtrata dal telegiornale delle otto, mi divertivo a tentare esperimenti come far esplodere miccette sul ponticello del fiume di carta stagnola, per emulare gli attentati e le bombe nere che erano all’ordine (nuovo) del giorno. Ed ero stato scoperto lo stesso anno in cui proprio sotto Natale avevamo avvertito una forte scossa di terremoto, con l’alto albero tutto addobbato che dondolava paurosamente a lato della tv in bianco e nero e nei pressi del camino acceso della sala da pranzo, che i miei mettevano in funzione solo per occasioni come quelle, mentre nel resto dell’anno doveva restare chiuso con una porticina di ferro, in quanto facile via di accesso per i topi dal comignolo sul tetto.

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