quest’onda che viene e che va

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Non c’è come l’esortazione a pensare positivo che mi irrita, anche se comprendo lo spirito e la buona fede con cui viene espressa che poi è il desiderio che il destinatario del suggerimento possa rientrare nei binari della serenità partendo da dentro di sé. Pensare positivo significa trovare al proprio interno in autonomia il bandolo nella matassa annodata alla rinfusa delle cose che ci fiaccano, il capo di un filo che dall’altra parte è in mano a un salvatore o una salvatrice e in mezzo si dipana lungo un labirinto all inclusive, mostri compresi. Ma desiderare fortemente affinché una cosa accada (spero che la costruzione grammaticale sia corretta) ha le stesse potenzialità di successo di piegare un cucchiaino con la forza del pensiero (e non con il calore delle mani come Uri Geller) o di far squillare il telefono al nostro 3, e anche se la vita è piena zeppa di coincidenze e botte di culo i poteri soprannaturali ce li hanno solo i protagonisti dei film. E io che sono un pessimista nato – anche se poi il mio è realismo che è il movimento artistico dell’appurare che le cose vanno come vanno, ma poi tutti lo intendono nella sua versione degenerativa – però non ho la controprova. A meno che non si tratti di un meccanismo di azione-reazione di quelli sulla lunga distanza, cioè pensare ardentemente di trovare una valigetta di contanti oggi non funziona, ma non è detto che magari tra qualche mese ci si possa inciampare dentro, e visto che mi capita di sovente ma su transenne o stipiti, che almeno una volta la distrazione sia utile. Io so che le cose accadono e basta, possiamo lavorare per evitarne alcune, ma vivere con il sorriso sulle labbra non necessariamente migliora nulla, è controindicato in caso di elevata densità di moscerini e, per di più, fa venire le rughe.

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