la spalla e il protagonista

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Temo che sia riduttivo ricordarsi degli altri solo per un particolare. Può essere considerato invece encomiabile lo sforzo di associare un particolare a una persona che si conosce superficialmente, così, per dargli un po’ di importanza quando la si incontra e far sì che l’altro si senta ricordato. Si tratta di un sistema però molto delicato e potete immaginare il perché. Intanto occorre essere dotati di una memoria di ferro, e già questa griglia di partenza taglia fuori una nutrita percentuale di persone, il sottoscritto compreso. Collegare sempre tizio alla sua peculiarità è un mestiere, come si dice dalle mie parti, che poi magari non è la sua caratteristica principale, quella che sanno tutti, ma un dettaglio che ci ha colpito quella volta in cui siamo scesi più in confidenza con lui perché c’erano tutte le condizioni giuste per sbottonarsi un po’. E qui non è detto che se uno ti svela qualcosa di riservato poi tu glielo rimetti costantemente sotto il naso ogni volta che lo incontri. Non sta bene. Magari poi si trova in compagnia di qualcuno che è all’oscuro di quel segreto e ci si fa una figura discutibile. O magari hai rivelato qualcosa di te, non necessariamente gonfiandola un po’, che tanto chissà quando ci rivedremo e poi te ne dimentichi e passi per quello che millanta le sue prodezze, il solito fanfarone che chi si crede di essere.

Ma a parte casi limite come questo, è ovvio che le nostre figure sociali siano attorniate da un’infinità di comparse, alcune ricorrenti altre meno, e per questo bisogna stare all’erta se ci viene da fare i giovialoni con tutti. Si tratta di un ruolo che, se lo interpretate, è a vostro rischio e pericolo. C’è un tizio che incontro non più di due o tre volte l’anno, quattro o cinque nei periodi di punta, con il quale ci diciamo sempre le stesse cose e l’approccio reciproco verte su un aspetto che ci ha accomunato quando ci siamo conosciuti, la prima volta. Lui, che è il papà di una compagna di classe di mia figlia, gioca in una squadra di rugby amatoriale e, nel corso di un incontro non tanto amatoriale, gli è successo non ricordo esattamente cosa alla spalla ma si è fatto abbastanza male da stare qualche settimana a casa dal lavoro e da interrompere l’attività para-agonistica per un bel po’.

In quello stesso periodo io avevo avuto seri problemi alla schiena dovuti alla mia struttura fisica di ispirazione cubista e alla scarsa propensione di mia figlia all’uso di mezzi di locomozione a spinta. E abbiamo rotto il ghiaccio in occasione di non so quale riunione dei genitori. Lui con la spalla vistosamente fasciata, il con l’andatura da simbolo <. Ci siamo raccontati le reciproche disavventure – di certo le sue più nobili ed epiche delle mie – e ci siamo scambiati, a fine serata, qualche consiglio su come evitare futuri problemi con il nostro corpo. Ed è stato edificante rivederci qualche mese dopo, lui in fase di guarigione grazie a una efficace fisioterapia e io rimesso in sesto da un plantare, qualche seduta da un osteopata e una serie di incontri di rieducazione posturale e attività fisica appropriata. Tanto che da allora, oramai archiviate quelle cause di immeritata sofferenza, quelle poche volte direi a cadenza quadrimestrale in cui ci troviamo come è accaduto ieri nel tardo pomeriggio, scambiati i saluti e la stretta di mano, è lui che mi scruta come a leggere un codice che lo rimanda all’argomento di dialogo consono alla mia persona e mi chiede senza tanti preamboli come va la schiena. Che è carino da parte sua se non fosse che la penultima e la terzultima e la quartultima e la quintultima volta in cui ci siamo visti il mio problema alla schiena era già stato (fortunatamente) risolto con successo e, di tutto ciò, ne è stato messo al corrente in ogni occasione utile.

Così vinco la tentazione di cambiare versione ogni volta perché fondamentalmente sono una bella persona e non voglio approfittarmi degli altri e lo ragguaglio sulle cose che dovrebbe sapere già. E gli chiedo come va la spalla, anche se non ricordo mai se è la destra o la sinistra. Lui la muove simulando un passaggio della palla ovale per farmi vedere che gli piacerebbe poter dire che si è ripreso alla perfezione, ma è lì che fa un’espressione insoddisfatta. E mi racconta dei benefici della fisioterapia e di quel ciclo a cui si sottopone, che però non è mai terminato finché squilla un telefono, bisogna andar via, c’è qualcuno che si intromette, e l’occasione – che non ho ancora capito di che occasione si tratta – finisce così e sarà per la prossima, ne sono sicuro.

13 pensieri su “la spalla e il protagonista

  1. Questa cosa del ricordarsi dettagli della vita altrui, in particolare nomi di mogli/mariti/figli dell’interlocutore, l’ho sentita la prima volta da tale Berlusconi Silvio che la riteneva una tecnica perfetta per mostrare interesse ed empatia col proprio interlocutore/cliente (si riferiva a episodi risalenti agli anni ’70, quando la principale attività del nostro era la vendita di case in quel di Milano2/3/4/5/6…)

  2. Da questo punto di vista sono un disastro, o meglio… il mio cervello, ormai ridotto ad uno sparuto nugolo di neuroni, è diventato talmente selettivo da scartare in automatico tutte le infos della vita altrui che non mi interessano. Se invece una persona colpisce la mia attenzione sul serio, e a volte il “sul serio” può essere anche uno sguardo, tendo a diventare una spugna e ricordarmi tutto (i nomi restano sempre off-limits per le mie capacità). 🙂 Eh, vabbè…. d’altronde sul mio pianeta siamo tutti così…. Ciao! 🙂

  3. Una collega, ogni volta che mi vede, dal 20 maggio (data del primo terremoto), mi chiede come sta mio padre caduto dal tetto. Ogni volta le ripeto che non è caduto dal tetto quindi sta bene. Ecco, anche io tendo più a fare queste figure.

  4. Quando ho cambiato ufficio il dirigente mi ha detto: “Ho saputo che ti sei rotto una gamba”.

    A parte questo, ci sono quegli attimi che ti definiscono una persona che ancora non conosci bene. Capitò così con il mio primo collega di stanza presso il mio attuale lavoro. Realizzai un programmino, glielo mostrai e lui mi disse:

    – Ora voglio modificarlo scrivendo un codice più compatto.

    Lo lasciai fare. Dopo qualche minuto lui eseguì la sua versione che però non funzionava; comunque mi mostrò il codice, orgoglioso:

    – Visto?
    – Eh, ma non funziona…
    – Lascia perdere che non funziona, ci siamo che è più compatto?

    Ecco, bastò quella frase per definirmelo. Non è mai stata smentita.

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