circuito chiuso

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Luca ora vive a Berlino e su Facebook usa una di quelle foto che la gente mette quando è consapevole che, per gli amici dimenticati dal tempo, è facile comunque ritrovare particolari come nel suo caso: gli stessi occhi verdi e quel colore di capelli così chiaro e cangiante a seconda della stagione, che ora che sono grigi sembra finalmente che abbiano trovato la pace e l’equilibrio di un colore ben definito. Dopo la maturità la droga lo aveva preso davvero bene e si sparava camminate lunghissime per smaltire, fedele anche da fatto alla convinzione che l’anima sfrutti il corpo per restituire il maltolto all’universo quando non ci si comporta a modo. Una volta l’ho caricato mentre faceva l’autostop, non chiedetemi dove né la destinazione. Avevo ancora la Ritmo e se non mi avvisava Barbara che aveva riconosciuto il suo trench beige all’imbocco dell’autostrada io manco l’avrei notato, concentrato come ero a non sbagliare ingresso in quel punto in cui non ci vuole niente a prendere la direzione di marcia opposta e stamparsi contro un tir. Rimaneva comunque uno sportivo, malgrado le canne e quel vezzo per farsi notare di entrare in campo sempre con la sigaretta in bocca, alto come un giocatore di basket – e infatti giocava a pallacanestro – e in difficoltà con i sedili posteriori delle automobili. In macchina però mi aveva confessato che avrebbe cambiato volentieri la sua altezza da pivot con la mia dimestichezza con il pianoforte. Gli sarebbe piaciuto salire sul palco insieme a me, magari quella sera stessa, per provare l’esperienza di bilanciare la linea discendente dell’euforia da sostanza stupefacente che evapora con la lentezza dell’emozione che trasmette la musica che sale quando fai un concerto, dalla prima canzone al crescendo del pezzo che i gruppi che sanno come si fa una scaletta tengono in serbo per il finale col botto. La catarsi. A Luca piaceva fumare hashish da solo e si presentava in compagnia quando già aveva smaltito l’effetto. Nonostante ciò, non si tratteneva dal lamentare il suo stupore di non trovarsi nello stesso stato d’animo dei compagni che invece erano nel pieno e iniziavano solo allora a divertirsi. Sono però rimasto in contatto con la sorella di Luca, era la sua versione femminile e un po’ più grande di età, con quelle gonne larghe e lunghe da fricchettona e mai un filo di trucco. È stata lei a raccontarmi di suo padre, che a un certo momento si è chiuso in sé e ha smesso di comunicare con il resto del mondo. Sostiene che suo papà ha scoperto che dentro vede cose che noi fuori non ce le possiamo nemmeno immaginare, come un canale televisivo che trasmette programmi ad altissima definizione e così coinvolgenti che non riesci a perdertene nemmeno un passaggio. Altro che le droghe leggere di quando eravamo ragazzi. Sul letto dell’ospedale spalanca gli occhi, muove le pupille da una parte all’altra e poi è come se tornasse dentro perché – questo lo dice lei – dentro si vive molto meglio.

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