non mi ricordo come ma mi è entrata dentro e c’è restata

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Ascoltare le proprie canzoni del cuore alla radio quando meno te lo aspetti dà molte più soddisfazioni di un ascolto premeditato oppure no?

Diciamo che sono due cose diverse: scegliere con oculatezza la colonna sonora per un particolare momento ha un suo perché in quanto c’è tutta la costruzione attiva dell’esperienza di ascolto: mi sento in modalità x, e pensate lo stato d’animo come una variabile indipendente, ho bisogno di emozioni y=f(x), appunto secondo una variabile dipendente da x. La canzone che scelgo non ha nessun tipo di impatto in senso contrario ma anzi va a potenziare il sentimento provato perché esiste in sua funzione. Quanti giovani e meno giovani riempiono i social network di dichiarazioni d’amore alla musica in quanto musa e sposa che consola di tutto e non tradisce mai? Se siete tra questi non ditemelo nemmeno, potrei togliervi l’amicizia, e in questa casistica rientrano anche quelli che postano “Vivo per lei” di Bocelli, che è la madre di tutte le melense dichiarazioni d’amore alla musica, che poi se io fossi la musica col cavolo che la darei a uno che scrive una canzone così per me, ma a pensarci bene non la mollerei nemmeno a chi posta qualunque rimando a Bocelli o a chi posta Bocelli tout court.

Comunque questo legame stretto si consuma tra i solchi di un vinile o in qualunque altra fredda modalità voi ascoltiate i vostri pezzi preferiti, ed è bello perché è fortemente voluto. Invece sintonizzarsi su una stazione radio, accenderla così per caso e sentirsi tirati in ballo da una delle canzoni che hanno segnato la vostra lunga esistenza è un modo come dire hey, non sono solo all’universo, c’è qualcuno che soffre come me, mentre i meno umili arrivano a pensare che la cosa è tutt’altro che casuale ed è scritto pure da qualche parte.

Allora, se vogliamo fare una gara, sentite qui: ieri stavo lavorando a casa, su Lifegate hanno messo “Close to me”, che nella settimana di Sanremo vale doppio anzi triplo, e subito dopo ho ricevuto una e-mail di lavoro la cui intestazione diceva “Ciao Robert, come stai?”. La mittente non è inglese semmai è distratta, io mi chiamo Roberto, sono italianissimo ma non ho registrato le parti di voce in “The head on the door”, e niente, i The Cure a qualsiasi ora del giorno regalano sempre delle belle emozioni e quando il tutto accade all’improvviso ancora di più. Che cosa aspettate? Venite nell’armadio, c’è posto.

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