conoscere il passato non aiuta a interpretare il presente, almeno in musica

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Il pop oggi è un terreno di scontro generazionale tanto quanto anni addietro lo sono stati le rivalità tra genitori democristiani e figli simpatizzanti di autonomia operaia, madri formate alla scuola gentiliana contro giovani seguaci del sei politico, padri rispettosi delle regole e adolescenti autoriduttori o, per fare un esempio più consono, fan della musica classica di mezza età intransigenti su tutto il resto contro chi portava il rock in casa. Ma, come vedete, si tratta di piani antitetici, si parla di reazionari contro giovani ribelli, temi con cui scornarsi perché frutto di posizioni opposte. Invece la nostra generazione cresciuta nel pop e che ha passato la vita a erigere monumenti al pop si è sorprendentemente trovata contro la generazione dei loro figli che non ne vogliono sapere delle nostre lezioni di musica pop, un’attitudine, la nostra, che fa parte dell’approccio generale per cui ci sentiamo giovani anche a cinquant’anni e pensiamo di saper insegnare ai giovani (quelli veri) come si fa ad essere giovani.

In pratica abbiamo occupato i luoghi in senso lato e traslato e i momenti culturali che per natura appartengono ai giovani, e ora loro, non trovando spazio, si sono spinti giustamente oltre e secondo me è per questo motivo che ascoltano della musica veramente di merda, sempre che l’ascoltino. Perché noi genitori pop ci troviamo di fronte sia i figli che ascoltano della musica veramente di merda che quelli che non ascoltano musica, il che per noi che siamo nati e cresciuti con la musica come fattore distintivo è inconcepibile. Come non mangiare. Come non bere. Come non respirare.

Eppure è così e, tra le due varianti di questo decorso della civiltà come la conosciamo, non so quale augurarvi e augurarmi. Mia figlia, per esempio, ascolta roba tutto sommato di qualità ma, in quanto perfettamente integrata nel suo tempo, ogni tanto mi fa sentire canzoni che giudico vergognose, quasi tutte riconducibili ai fenomeni rap e trap locali, o brani resi celebri perché usati nemmeno in spot tv ma come sottofondo a meme di youtube, cose condivise che si diffondono a macchia d’olio e di cui si è smarrita la paternità (altro aspetto per me inconcepibile) fino al pop del momento, che tutto sommato tra quello che offre il panorama commerciale è il meno peggio. Io che sono piuttosto rigido su queste tematiche cerco comunque di non esprimere giudizi (nel tempo qualcosa mi è scappato, con conseguenze peggiori rispetto alla causa scatenante) e faccio del mio meglio per capire. Ed è questo che fa riflettere: decenni degli ascolti più estremi, di Clock DVA, Einstürzende Neubauten, i Ministry (cazzo, i Ministry), Ornette Coleman, Drexciya ma anche moltissima musica di adesso e millemila altra roba complessissima per poi non riuscire a comprendere Ghali o Sfera Ebbasta. I loro pezzi si librano negli ambienti di casa nostra riprodotti su supporti di qualità pessima – smartphone e pc portatile, questo è l’Hi-Fi con cui i nostri ragazzi stanno crescendo – e non avete idea di come si infrangano in mille pezzi contro il mio universo sonoro. La musica è cambiata e probabilmente non è nemmeno più musica, il pop è morto ma per fortuna io mi sento in forma.

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