dote sport Regione Lombardia, solo per i figli maschi?

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Quando programmavo giochini matematici in Flash per le scuole elementari – vi parlo di una vita fa, gli anni novanta – una delle più banali ma non per questo secondarie accortezze era quella di mettere risposte e feedback automatici neutri perché l’utenza poteva essere sia maschile che femminile e il genere di appartenenza non era una variabile disponibile. Quindi, in caso di svolgimento corretto, non “Bravo!” perché il merito poteva essere di una bimba, ma, per esempio, “Complimenti!” o “Bel lavoro!”, addirittura gli sviluppatori più entusiasti azzardavano cose tipo “Grande! Dammi un cinque!” e cose così.

Uno dei problemi della lingua italiana, oltre a essere poco praticata dagli italiani stessi, me in primis, è infatti proprio quello della distinzione tra maschile e femminile che, in certi casi, quando si parla di figli o del genere umano in generale mostra le sue lacune nella cosiddetta “political correctness”. Lo sapete meglio di me: se parlo di donne e uomini dico “gli uomini”, se parlo di bambine e bambini dico “i bambini”, se parlo di figlie e figli dico “i figli”. Io sono del partito del buon senso, che include quelli come me che non la fanno tanto lunga per i termini femminili che non finiscono in “a” o se, solo linguisticamente, si manca di riguardo a qualcuna o qualcuno, ma forse è perché sono di sesso maschile e, se fossi una blogger, sarebbe differente.

Comunque la questione dei giochini matematici di cui parlavo prima si è poi manifestata in tutta la sua urgenza quando mi sono messo a fare il copywriter e a scrivere testi di comunicazione e pubblicità. Se devi parlare a un pubblico misto, e il pubblico – fidatevi – è sempre misto, e per fortuna che è misto, l’ABC del mio mestiere impone il dovere di fare attenzione a queste cose. Intanto perché è giusto avere riguardo, perché avere riguardo è indice di rispetto, e poi perché si rischiano rotture di cazzo infinite a partire dai blogger come il sottoscritto che, alla cinquantesima volta che vedono la pubblicità della dote scuola della Regione Lombardia, capiscono finalmente che cosa c’è che non va.

Un creativo deve stare attento a questi aspetti, e stavo per scrivere dettagli ma poi mi sono corretto perché non sono dettagli, questo è poco ma sicuro. Nessuno ci fa caso perché la gente è intelligente ed è in grado di generalizzare, direte voi, o forse perché è una forma mentis radicatissima nel nostro background culturale e sociale. Però allora perché non si è fatto il contrario? Perché non c’è una ragazzina, magari con una divisa di uno sport che non sia danza classica, nella foto?

Ma siccome sono qui per portare soluzioni e non problemi, ecco come avrei fatto io: avrei preso l’immagine di una bambina e un bambino insieme, e avrei anche speso due lire per pensarla ad hoc con un fotografo, anziché attingere alle library online con le foto da tanto al mucchio. Una bambina e un bambino entrambi con le magliette “dote sport” e, se non vogliamo creare precedenti di gender, visto che siamo in Lombardia e su queste cose ci massacrano i Maroni, possiamo anche far posare la bimba in tenuta da volley e il maschietto vestito da calciatore, così non si offende nessuno. La headline, infine, basta metterla al plurale per fugare ogni dubbio: “I tuoi figli fanno sport? La Regione fa il tifo per voi”. Voi inteso come “tutta la famiglia”. Secondo me funziona meglio.

Qui comunque trovate la versione 2017 che si vede in giro, come vedete la sostanza non cambia.

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